di Giancarlo Zampini
settembre 2010
Domenica 27 giugno si è tenuto presso il Frantoio Pam di Campiglio di Quarrata, la 7a edizione della battitura del grano organizzata dal Club Trattori d’Epoca, un appuntamento che ha riproposto tutte le fasi di questa antica lavorazione, fino a qualche anno fa un vero e proprio rito che si viveva all’interno delle famiglie contadine.
Un appuntamento che ci ha dato lo spunto per portare in evidenza gli antichi mestieri, che se ne vanno… colpa della modernità. Non si batte più il grano, ma trattoristi e battitori ci sono ancora, merito di cinque amici grandi appassionati che sono: Raffaele Penta, Vincenzo Pascarella, Federico Arcangioli, Mario Breschi e Luciano Giosuè Giovannetti. Cinque temerari che il 23 giugno del 2008 costituirono una Associazione, cresciuta in breve tempo tanto da riunire una quarantina di appassionati di quello straordinario mezzo che è il trattore.Oggi non si coltrano più i campi come una volta, l’agricoltura è fatta di vivaismo in pianura e viti ed ulivi in collina; molte piccole aziende – per vivere – prestano la loro opera ad enti ed istituzioni per la pulitura delle strade dagli arbusti e taglio dell’erba lungo i fossi. Quindi non eseguono più i lavori tradizionali, considerato che anche il settore vivaistico usa mezzi speciali.
Ma non solo i trattoristi: con loro si sono persi anche i contadini tradizionali – sia in proprio che mezzadri – le cui testimonianze si possono vedere presso la Casa di Zela, dove l’appassionato Ernesto Franchi ha raccolto in un museo didattico oltre cinquemila vecchi attrezzi agricoli e degli antichi mestieri (foto in questo articolo).
Tanta nostalgia, anche per coloro che costruivano e riparavano le botti, i carrai che facevano le ruote dei barrocci, fabbri che prendevano i carboni ardenti e battevano il ferro per fare attrezzi, vanghe, zappe, pennati. Questa è nostalgia, ma si perdono mestieri anche più attuali e se non si pone rimedio, presto sarà difficile trovare un falegname o un tappezziere; la scuola non prepara ad intraprendere questa via, l’ambizione dei genitori è quella di vedere i propri figli impiegati da qualche parte, possibilmente in una grande azienda, in banca, presso uffici pubblici, basta che non indossino la tuta. Davvero grandi perdite, ma come dicevano i nostri vecchi, mal voluto non è mai troppo; grandi responsabilità vengono dall’alto, che con troppa facilità ha demonizzato il lavoro degli artigiani, dei lavoratori autonomi, tacciati negli ultimi vent’anni come grandi evasori. Il risultato si vede in qualche concorso per pubblico impiego, dove a fronte di cinque posti concorrono 2500 candidati, tanto che le selezioni si devono fare nei palazzetti dello sport, al contrario nessuno apre una partita iva per fare i mestieri sopra portati ad esempio. Intanto le aziende quarratine – quelle più grandi che operano nel distretto del mobile imbottito – non riescono più a trovare falegnami e tappezzieri qualificati; la realtà è questa! Un discorso a parte lo meritano i piccoli negozi che spariscono – anche quelli sono mestieri – il mondo va verso la grande distribuzione: piccolo e bello non è più di moda.
Eppure la fortuna dell’Italia intera è stata costruita proprio su queste basi che ora vengono rinnegate.