di Massimo Cappelli
settembre 2016
È il 1974, Alfredo Becciani, non ancora ventenne, apre Bambù, un negozio di calzature, pelletterie e accessori moda, in via Trieste. Oltre alla grande attitudine per la vendita, Alfredo, ben presto scopre di avere anche una grande vocazione per la moda. Per questo insieme all’amico Massimo Tanteri e a Graziella Chiti, decide di ingrandire il negozio trasferendosi in via Roma. Per oltre trent’anni, Bambù Abbigliamento, propone il prêt à porter uomo, calzature e accessori. È subito un grande successo perché diventa il primo negozio a Quarrata dove si possono trovare tutte le firme della moda. Sono molti i clienti che frequentano il negozio, attratti sia dal savoir-faire di Alfredo e Massimo che dalla creatività degli stilisti, solo per citarne alcuni: Valentino, Hermés, Giorgio Armani, Gianni Versace, Romeo Gigli, Byblos, il “nostro” Enrico Coveri e anche Dolce e Gabbana, che in quegli anni nessuno conosceva. Il negozio resta aperto fino al 2013, la crisi di questi ultimi anni, purtroppo, ha fatto prendere la decisione a Massimo e ad Alfredo di chiudere. Abbiamo fatto una chiacchierata con Alfredo.
Una griffe è un segno di distinzione, e questo, a suo tempo, grazie anche ad un benessere economico collettivo fu il motivo del vostro successo; è cambiato qualcosa oggi nel vestire?
Sì, il fenomeno della griffe secondo me, da un punto di vista antropologico, va ricondotto addirittura alla preistoria. A livello ancestrale, è paragonabile all’osso conficcato di traverso nel naso dello stregone delle antiche tribù: un segno di riconoscimento su chi ha e chi non ha il potere. Fino a qualche anno fa (e anche oggi ma solo nella fascia alta) nel mondo dei VIP non si vestiva per bisogno, ma per status. O meglio, si acquistavano abiti firmati per bisogno sì, ma di manifestare l’elevato stato sociale. Oggi, vuoi per il fatto che qualcuno ha avuto interesse a farci credere che siamo tutti ricchi (anche se paghiamo in comode a rate mensili) i capi firmati vengono distribuiti trasversalmente negli outlet, una sorta di città finte, dove le aziende stesse buttano fuori, a metà della metà del prezzo, la produzione in eccesso dell’anno prima. Per questo motivo, molti negozi come il nostro, che hanno da sempre corrisposto le tasse ai Comuni di residenza, e pertanto contribuito anche al miglioramento delle città vere, hanno dovuto chiudere a causa della mancata vendita.
Chi erano i vostri clienti e da dove venivano?
La nostra era una clientela molto raffinata. Quarrata allora era una fiorente cittadina con un grado elevato di benessere economico. Molti dei nostri clienti erano di qua: grandi e piccoli imprenditori, ma anche qualche operaio che voleva vestire firmato. La maggioranza dei clienti però veniva da fuori, Prato, Poggio a Caiano, Firenze, Montecatini Terme, Pistoia. Qualcuno anche da fuori Toscana.
Un aneddoto che ricordate con piacere?
Aneddoti e curiosità ce ne sarebbero da non sapere da che parte iniziare. Voglio ricordare invece una persona, un grande amico, direi un fratello, che frequentò Bambù fin dagli inizi: Marco Giustozzi. Marco, con la sua solarità ha portato gioia e positività per molti anni, in negozio e in tutta Quarrata. Era figlio di un grosso concessionario auto di Perugia, restava da noi periodi lunghissimi al punto che abbiamo stretto un legame che oserei definire familiare. Aveva una grande sensibilità e il grande dono di stringere amicizia con tutti, a prima vista; per battuta direi che ha venduto più auto qui da noi che dalle sue parti. Purtroppo il destino con lui non è stato altrettanto positivo, lo strappò alla vita che non aveva ancora compiuto quarant’anni, lasciando tutti nello sgomento. Ho voluto ricordarlo perché Marco, dopo tutti questi anni, vive ancora in me.
E così abbiamo ricordato anche Bambù Abbigliamento, il negozio quarratino che, in termini di prodotto, già negli anni Ottanta non aveva niente da invidiare a qualche suo simile romano di via Condotti, o milanese di via Montenapoleone. Tanto per ribadire il concetto, che NoiDiQua, non ci siamo mai fatti mancare niente.