Bar Testai

Bar Testai

di Carlo Rossetti

marzo 2012

C’era una volta il Bar Testai, all’angolo di Via Roma con Via Montalbano. Potrebbe cominciare così il nostro racconto alla maniera delle favole, perché forse qualcosa di favolistico nella vita del bar, c’era. Prima di tutti l’Ilia e Tiziano, i proprietari; estroversa, simpatica, spumeggiante lei, bizzarro, imprevedibile, “caciarone” lui. Poi una pletora di clienti affezionati che avevano eletto il luogo a “seconda casa”, insostituibile ritrovo quotidiano. Clienti che definire buontemponi sarebbe eufemistico, ma che potrebbero essere classificati meglio, se facessimo esplicitamente ricorso a certe materie organiche. Insieme a loro una clientela esterna che giungeva a Quarrata periodicamente per ragioni di lavoro, agenti di commercio, imprenditori, che faceva parte ormai della cerchia di amici.

E’ evidente che messi tutti insieme, creavano quell’aria scanzonata, talvolta goliardica che era lo spirito del bar. Un luogo che, giorno dopo giorno, consentiva agli amici di frequentarsi, senza doversi dare appuntamento in pizzeria, al cinema o in qualsiasi altro luogo. Perciò in un clima come questo la vita scorreva su un piano di leggerezza, complici Tiziano e l’Ilia. L’unico cruccio di Tiziano, quello di non riuscire nonostante i numerosi tentativi, a organizzare un torpedone per Firenze, in occasione delle partite della Fiorentina, anche se lo sport in genere non era argomento ricorrente, pilastro invece dei vari Bar dello Sport. I frequentatori giungevano al bar alla spicciolata, secondo le proprie esigenze di lavoro, sia dopo il pranzo, che dopo cena, ma si poteva essere certi, che prima o poi sarebbero arrivati tutti. Quasi sempre, ognuno di loro, veniva accolto da una battuta a mo’ di benvenuto, dagli amici seduti ai tavolini. I discorsi non prendeva no mai in considerazione la politica, che serviva solo ogni tanto ai fini della presa in giro di qualcuno; perciò gli argomenti erano i più svariati e difficilmente ne veniva affrontato uno serio, ma ciò non voleva dire che la loro leggerezza fosse anche superficialità.

Ai tavolini i giocatori di carte affidavano alla briscola o alla scopa la possibilità reciproca di bersi il caffè o un amaro a sbafo a seconda dell’esito del gioco, e non di rado qualcuno dava in escandescenze per la fortuna sfacciata dell’antagonista, sottolineata con un termine poco nobile e elegante. Per un certo periodo di tempo anche il biliardo costituì per alcuni un diversivo, ma non ebbe il successo sperato. Ma il gioco nel bar non era il passatempo predominante; l’aspetto ricreativo, come dicevamo, era costituito dal lazzo, lo sberleffo, la presa in giro reciproca, veri condimenti degli incontri giornalieri. Ci piacerebbe fare i nomi dei tanti amici che per lungo tempo hanno frequentato il bar, ma siamo sicuri che faremmo torto a qualcuno.

Possiamo ricordare i tanti soprannomi che furono attribuiti di volta in volta ad alcuni, segno di una specificità, in molti casi legati a particolarità e caratteristiche “dell’insignito”, in altri senza un preciso motivo. Farciolino (attribuito per la fede politica del destinatario), Canile sera (per l’amico che usciva di sera insieme ai cani), Notizia sera (per i pettegolezzi freschi di giornata), Passo (per la lunga falcata a camminare), Amaretto di Saronno (per la propensione verso questa bevanda), Fettunta (per la giacca di camoscio arricchita da numerose macchie di olio), Beva, Tibia, Barassino, Polvere, e così via.

A metà degli anni 50, il televisore, che nessuno aveva a casa, radunò gli amici, finalmente silenziosi e seduti, a vedere “Lascia o raddoppia”, o gli incontri di pugilato. D’estate, due panchine poste sul marciapiede ai lati dell’ingresso, ospitavano alcuni della comitiva; gli altri in piedi, prendevano parte alla conversazione senza il timore, pur essendo sulla strada, di essere investiti, essendo scarso il traffico. Dai platani della piazza, fino a quando non furono abbattuti, l’assiolo faceva da contrappunto alle lunghe conversazioni notturne.

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