di Marco Bagnoli
Si sa che i quarratini sono un popolo di poeti, anche se non son proprio dei santi – e all’occorrenza capaci di navigare in lungo e in largo per il mondo. Molti di loro sono anche degli artisti – che dico? musicisti. Bianca Mangoni è una di questi. Non ha ancora compiuto diciassette anni, eppure suona l’arpa da quando ne aveva dodici. Sì, avete capito bene, l’arpa. Un cordofono dal suono celestiale per definizione, che s’irradia da una cassa grande come un comò. Appartiene alla famiglia degli strumenti ingombranti, più piccola di un clavicembalo, ma meno maneggevole di una viola da gamba. E allora come fa un arnese del genere a capitare per le mani di una ragazzina? direte voi. La storia andò così.
Quand’era ancora piccola, perfino più giovane di quanto non sia adesso, i suoi genitori pensarono bene di farla sedere davanti al pianoforte; la cosa ebbe i suoi effetti, perché la bambina si applica – le piace eccome la musica! Passa qualche tempo e Bianca deve fare i conti con le implacabili statistiche di settore, e come molti altri bambini della sua età vive un fisiologico disamoramento per lo strumento. Niente paura, il distacco è solo temporaneo. A questo punto della storia, Bianca frequenta già il liceo classico a Pistoia – come passa il tempo! – e con tutto quel latino, qualche corsa su per le scale ci starebbe proprio, do-re-mi-fa-sol-la-si-do-re! La sua intenzione era quella di tornare ai tasti bianchi e neri del pianoforte, ma le classi tenute dai maestri della Mabellini erano tutte piene. Venne allora in suo soccorso il direttore in persona della scuola di musica, don Pineschi, che le propose un giro nelle varie aule per assaggiare un altro strumento che potesse fare al caso suo. Inutile dire che tra Bianca e l’arpa scoppio il più classico dei colpi di fulmine – non sarebbe potuto essere altrimenti: uno strumento alto e pesante quasi quanto lei che si lascia prendere per mano mentre disegna con voce di miele l’intera armonia dell’universo.
Bianca inizia le lezioni con Francesca Boem, suonando con gli strumenti della scuola fino al gran giorno in cui lo studio non ha reso necessario un lavoro più impegnativo a casa e l’arpa è diventata una presenza quotidiana nella sua vita. Assieme alle altre compagne della sua classe della Mabellini, Bianca si è cimentata in diversi saggi nel corso degli anni, oltre a qualche concorso fuori porta coi quali ha potuto misurare i risultati raggiunti. Anche molti dei ragazzi che frequentano il suo liceo si dedicano alla musica, quindi non è solo lei a essere un po’ “strana”: il repertorio classico è ovviamente il cuore dei suoi ascolti musicali, ma non per questo Bianca resta indifferente a quello che passa per radio o in televisione. Tra l’altro bisognerebbe decidere se un’opera musicale giace forzatamente incastonata nel suo tempo o parla invece a chiunque l’ascolti, tanto nel passato che nel presente, ma questo è un altro discorso.
Nonostante la Mabellini di Pistoia consenta ai suoi allievi di potersi presentare per gli esami in conservatorio, Bianca, come molti altri del resto, si limita a suonare per il proprio piacere personale – e di quelli che di volta in volta avranno voglia di starla a sentire. Tecnicamente sarebbe quindi una “dilettante”, ma è bene ricordare che l’etimologia di questa parola è appunto “diletto”, divertimento, gioco. Non bisogna dimenticare che prima di assumere quella connotazione marcatamente negativa che ci è familiare, in origine, e fin oltre il Rinascimento: dilettanti erano quelle persone che non erano musicisti di professione, ma “semplici” amanti della musica, spesso di elevato livello tecnico, che profittavano della propria posizione economica per concedersi il lusso di questo passatempo.
Che altro dire? La mamma ha riempito la casa di chitarre; il babbo di dischi di tutti i generi possibili; sua sorella più piccola, Emma, suona il violino. Ma tutta questa musica, alla fine, a che cosa serve? Non serve a niente. Come dice il filosofo, la musica non è serva di niente e di nessuno; è libera e forse, mentre si lascia suonare, libera un po’ anche noi.