di Massimo Cappelli
settembre 2018
Il compianto comico mio amico Niki Giustini in un suo sketch dove rappresentava un cliente ed un bottegaio recitava così: «Che me lo dà un etto e mezzo di prosciutto?» «Certo signore» rispondeva il bottegaio mettendo sulla bilancia un foglio di carta gialla spesso tre millimetri. Il cliente allora: «Oh ma quella carta peserà mezz’etto eh?». E l’altro: «Un te lo posso mettere mica in mano…». Prontamente la risposta del cliente: «In mano no… però un tu me l’hai a mettere neanche in c..o, ha’nteso!?».
Questo ricordo di Niki serve ad introdurre il “Concludendo” di questo numero, dove voglio parlare della manipolazione e dei piccoli inganni che il marketing usa per aumentare i profitti alle grandi aziende. Partirò da un curioso quanto fraudolento caso, riportando l’analisi dell’Office of National Statistics (Ons) del Regno Unito, dalla quale è emerso che in molti prodotti che si trovano negli scaffali dei nostri supermercati è diminuito il contenuto. Questo nuovo stratagemma al limite dell’inganno, gli anglosassoni lo chiamano Shrinkflation. Molte aziende, probabilmente per rimanere competitive con i costi, invece di alzare il prezzo inseriscono meno prodotto nelle confezioni. Dal 2012 al 2017 ben 2.529 prodotti hanno subito lo shrinkflation: rotoli di carta da cucina da 150 a 130 strappi, lattine da 33ml a 25ml, fazzoletti di carta da dieci a nove ogni confezione, dentifrici da 100mg a 75mg, barrette di cioccolata ridotte dal 14% a quasi il 17%. Addirittura venti gli strappi tolti al rotolo di carta igienica, che rapportati per l’intera confezione equivalgono ad un rotolo in meno. Siccome in Italia siamo “speciali”, da noi, in oltre settecento casi è diminuito il prodotto ed è stato alzato addirittura il prezzo.
Negli ultimi cinquant’anni, in corrispondenza ad un mercato sempre più saturo, la scienza del marketing ha messo in atto svariate e originali strategie che col tempo hanno portato a grandi risultati. Per esempio, una grande azienda produttrice di dentifricio che riforniva diversi brand, che negli anni Settanta aveva oltre il 90% delle quote di mercato nel mondo e per questo impossibilitata ad aumentare il fatturato, cos’ha fatto? D’accordo con gran parte dei suoi clienti, ha commissionato ai fornitori tubetti con il foro di uscita più grande in modo di aumentare il flusso, di conseguenza la vendita di prodotto e, naturalmente, il fatturato. Restando in tema di dentifrici, chi ricorda di aver visto in qualche spot pubblicitario quanto prodotto venga posto sullo spazzolino? Viene fatta addirittura una “esse” con il dentifricio. Per lavare correttamente i denti, al contrario, ne è sufficiente pochissimo, poiché non è il dentifricio che deve lavorare ma lo spazzolino. Ma gli psicologi delle grandi agenzie di pubblicità, sanno che hanno a che fare con “scimmie” per cui si connettono ai nostri neuroni a specchio stimolando in noi il senso di emulazione.
“Divani fatti a mano in Italia dagli artigiani della qualità”. Credo che questo claim lo conoscano proprio tutti, anche perché gli spot radio e tv di questa grande marca di divani, sono pianificati costantemente ancora oggi. Dicono sempre che sono gli ultimi giorni di promozione, ma sono anni che continuano. Sembra che l’azienda investa oltre il 40% del fatturato in comunicazione. Ora, per me che sono nato a Quarrata, sentir dire “Divani fatti a mano…” provoca una ricca risata perché non ci sono altri modi per fare un divano o una poltrona se non a mano. «in Italia…» può darsi, ma quello che non dicono (e fanno di tutto perché non si sappia la verità) è che gli «artigiani della qualità» hanno gli occhi a mandorla. Per carità, questo è lecito, ci mancherebbe, ma allora perché, ad onor del vero, non fanno recitare i cinesi nello spot? Invece di spostare l’attenzione su occidentali che indossano abiti da lavoro e che parlano con dialetto ed espressioni in romagnolo puro. Quello che non si capisce è come fanno a comunicare un prezzo così basso; tuttavia la furbizia si intuisce nella frase «La promozione finisce domenica, solo pochi esemplari, fino ad esaurimento scorte». Allora, a promozione scaduta, tanto vale venire a comprare il salotto di casa da qualche artigiano verace del nostro territorio, ce ne sono tanti, e ci si intende meglio parlando in toscano.
Eh sì, sono ormai lontani i tempi degli sketch di Carosello: la Brillantina Linetti, Jo Condor e il gigante buono della Ferrero. Carmencita e il Caballero misterioso di Paulista Lavazza, Calimero e la Mira Lanza. Oppure la “Linea”, la simpatica creazione di Osvaldo Cavandoli diventata testimonial di Lagostina, e chi più ne ha più ne metta, si potrebbe andare avanti dieci pagine. Allora era tutto più genuino, la pubblicità era più attendibile e dava veramente credibilità ai prodotti senza dover adoperare sofisticati sistemi di persuasione. Poi, si è scoperto il business selvaggio, con il consumismo, si è dovuto produrre in eccesso, quindi indurre il bisogno nei consumatori per poi soddisfarlo, entrando così in un circolo vizioso. La nostra generazione, alla nostra latitudine intendo, credo abbia vissuto (chi più e chi meno) il miglior periodo di benessere trasversal-popolare dall’alba dell’uomo ad oggi, questo forse a discapito di regioni del mondo che stavano soffrendo la fame. Ecco, oggi queste aeree geografiche si stanno emancipando e dobbiamo prendere coscienza che stiamo diventando noi il “terzo mondo”. I ponti che cadono ne sono la conferma. Qualcuno si ricorderà il 2012 e la profezia dei Maya che affermava, oltre alla fine di un’era, il capovolgimento dell’asse terrestre. Oggi un asse terrestre astratto si è progressivamente e inesorabilmente capovolto, facendo girare il mondo al contrario.
Ma torniamo a Carosello, che è meglio. Vi confido che questa vecchia striscia televisiva ha stimolato in me il desiderio di fare il pubblicitario. Non sarò arrivato a gestire marche importanti, anche se devo dire, che qualche cliente di zona l’ho portato a Mediaset o alla Rai. Però, diciamoci la verità, un primato ce l’ho: sono, come ho scritto altre volte, la più grossa agenzia degli Olmi.