di Carlo Rossetti
marzo 2011
Lodevole iniziativa quella della Biblioteca di Quarrata di presentare al pubblico “Caro Maurizio”, il libro d’esordio di Mary Vettori Fabbri. A fare gli onori di casa agli intervenuti, numerosi nonostante i rigori del tempo, il Sindaco Sabrina Sergio Gori e Claudia Cappellini, responsabile della Biblioteca, a cui è toccato il compito di presentare il libro. Onere brillantemente assolto attraverso un’esposizione chiara, efficace e ricca di annotazioni, con riferimenti alla diaristica esistente. Ha quindi parlato l’autrice, ringraziando della nostra presenza e raccontandoci il processo interiore che l’ha portata alla scrittura. E’ stata la volta dell’attrice Monica Menchi che ha proposto al pubblico attento e commosso, alcuni brani del libro, letti con bravura e intensa partecipazione. Non intendo dare un giudizio critico sul libro, non ritenendomi in grado di farlo, ma semplicemente esprimere le mie impressioni, raccontare l’emozione che la sua lettura mi ha dato.
E’ un libro bellissimo che raramente è dato di leggere, vuoi perché attinge a un evento della vita il più drammatico e tragico che si possa immaginare, la perdita di un figlio, vuoi perché a raccontarlo è colei che di tale evento ha subito le conseguenze, essendone la madre. E’ un grido di dolore il suo, che su un immaginario pentagramma dell’anima, va dai toni bassi a quelli più alti, in cerca di un po’ di respiro per non soffocare, in attesa di ritrovare quel suo dolore per sentirsi vicina a Maurizio, per espiare o alleviare almeno quella colpa che si attribuisce per non avere capito il disagio del figlio. Un libro che insegna, che deve fare riflettere e ammirare una mamma che ha trovato il coraggio di superare giorno per giorno un dolore così grande, riuscendo, quando esso si faceva lancinante, a intravedere in un raggio di sole che sfiora una foglia d’acacia appena mossa dal vento o in un fremito lieve della natura, una luce di speranza, un segno per ricominciare, per riconsiderare la vita degna di essere ancora vissuta.
Ci sono tanti passaggi nel libro che vorrei sottolineare, per la loro forza evocativa, per la suggestione. Ne cito soltanto uno che trovo di una bellezza struggente: «(…) e dovetti, io, tirarlo fuori succhiandolo dal pavimento col telo bagnato e via via che ce lo passavo quel panno si tingeva di rosso e quel rosso eri tu Maurizio, la tua vita che io raccoglievo e buttavo via sciacquando il panno nell’acqua». Il gesto pietoso e drammatico di una madre, raccontato con una magnifica immagine letteraria.
Facendo appello alle sua infinite risorse umane e intellettuali, Mary è riuscita a trovare una varco in tanto dolore, instaurando un dialogo con Maurizio come se lui fosse vicino a lei. E non è un colloquio a una sola voce perché il suo grande amore riesce a evocare la sua presenza, in cerca dell’unico modo, quale antidoto al dolore, che possa neutralizzare in parte una sofferenza talvolta soffocante. So di essere stato un lettore privilegiato per l’amicizia che mi lega a lei da tanto tempo e all’indimenticabile Alfredo, perciò più coinvolgibile di altri in una lettura che prende e che serra la gola.
Devo ammettere e sembrerà impossibile, che il libro non mi ha fatto male come avevo pensato prima di leggerlo e come Mary mi aveva anticipato, anche se tante parole feriscono come lame taglienti. Ma la bellezza della sua scrittura poetica è stata in grado di mitigare, nonostante tutto, l’angoscia che inevitabilmente assale e ho pensato che finalmente Mary sia riuscita, aprendo il suo cuore, a scaricare in parte l’immensa pena. E’ stato un grande insegnamento e un motivo di riflessione il dolce e drammatico racconto del suo dolore. Io sento di doverle qualcosa per essermi arricchito leggendo il suo libro e la ringrazio per questo, ma per l’affetto che mi lega a lei avrei voluto che questo libro non fosse mai stato scritto.