Marco Bagnoli
settembre 2010
Ci sono molti modi di raccontare una storia. E se questa storia magari è lunga ed ostinata nel tempo, e coinvolge un popolo e un paese, quello di Quarrata, l’Italia intera; se oltretutto chiama in causa le famiglie, i dolori, le difficoltà della vita di tutti i giorni, tutti i giorni della loro vita; e se poi ci sono in ballo pure i danari, i soliti soldi che sono la soluzione a ogni cosa, poiché è sempre la loro mancanza ad avere la colpa di tutto…
Ecco, una storia di questo tipo bisognerebbe che fosse raccontata per filo e per segno, senza errori, senza tralasciare niente, date, nomi, cifre, numeri e parole. Perché alle volte i numeri e le parole sono la sola cosa che ancora ti tiene qui. E invece no. C’è un uomo, una quarantina d’anni fa, da qualche parte, quasi per caso. E’ un prete, un uomo qualunque; gli è stato affidato un compito di retroguardia, poiché la sua salute è cagionevole e deve pensare a riposarsi. E’ morto pochi anni fa, passati i novanta; anche don Osvaldo avrebbe sorriso dell’ironia, pare fosse il tipo. Fino all’ultimo lui ed i suoi collaboratori si sono occupati di malati, di invalidi a vari gradi, di corpo e di mente. Tutti malati scomodi. Gente che non fa vendere, mentre gli spettatori devono comprare, silenziosi e affamati. Eppure voi, cittadini di Quarrata, siete riusciti a tenere su la testa e infilarvi le mani in tasca – e non certo per starvene a guardare.
Il centro O.A.M.I. di via Corrado Montemagno lo avete fatto voi. Quasi vent’anni di buona volontà, prima di vedere la struttura finalmente a regime nel 1997. Abbiamo incontrato chi nella casa ci lavora, anzi, ci vive. Ci sono state raccontate molte cose; tutto quello che passa per la mente, quello che si tocca con mano. E ci è stato detto che alla fine, al termine di ogni giornata, minuto dopo minuto, si continua a imparare sempre la stessa identica lezione, lo stesso flebile stentoreo suggerimento: le cose veramente importanti della vita sono ben poche. Le si leggono di continuo nell’apparente immutabilità di certi occhi; occhi che non intendono ragione, non vogliono numeri, se ne fregano altamente della maggior parte delle parole che potreste pensare. Con intenso, astuto istinto cercano di tirarvi dalla loro parte e v’inchiodano secchi al vostro posto. In un modo o nell’altro siete perduti: è la vostra stessa condizione umana che vi porta a soffrire della loro dolente umanità.
Le strutture dell’O.A.M.I. sono attive in tutta Italia. Aiutano le famiglie che non possono aiutarsi da sole, quelle che talvolta, semplicemente, non vogliono. Ma perchè giudicare? Loro, gli ospiti, non lo fanno: sono soltanto sinceri. Non fingono la simpatia, rientra nei loro diritti forzare le loro afflizioni sui nostri sensi di colpa. A nessuno si può rimproverare il fatto di stare nel proprio ruolo, o di non essere in grado di andare oltre di esso: può farti uscire di testa, ma se riesci ad accettarlo hai imparato qualcosa.
Le foto riportate in questo articolo sono state gentilemente fornite dalla casa famiglia O.A.M.I e raccontano la vita di tutti i giorni, frammenti di cose semplici. Si vede l’incontro con un agnellino, (che si era disperso nel giardino della casa durante una fiera degli animali da cortile), la preparazione di una recita, e quella di una torta in cucina. Questa è la loro quotidianità.