di Sara D’Oriano
settembre 2015
La sua piccola e semplice casa, proprio dietro al forno, è un raccoglitore di storia e ricordi che trasudano da ogni oggetto e cassetto. Chiacchierare con nonna Luisa, moglie di Franco Giuntini, equivale a un vero e proprio viaggio nel passato Un universo di nomi, racconti e eventi che hanno proseguito e costruito quella realtà che oggi è il Forno Giuntini. Schiva, solitaria, nonna Luisa non ama molto parlare di sé, né vuole che si parli di lei, ma è infinitamente generosa nel regalare i suoi ricordi, indissolubilmente legati a quello di Franco.
Franco, racconta nonna Luisa sfogliando un ricco mazzo di foto in bianco e nero, era un uomo pieno di vita, molto attivo, energico, con una passione immensa per la musica. Dice nonna Luisa: «La musica è sempre stata il suo rimpianto più grande. Aveva imparato da autodidatta a suonare la tromba, sapeva suonare la fisarmonica e faceva parte anche della banda comunale di Quarrata». E’ stato grazie alla musica che Franco e Luisa si sono conosciuti alla casa del popolo di Catena: «Con i suoi amici avevano messo su una orchestra che suonava alle feste della casa del popolo. Ci siamo incontrati così. Io avevo solo 16 anni e ho vivo il ricordo di questo giovanotto che veniva a suonare e noi ballavamo. Se non fosse stato per la sua musica, non ci saremmo mai incontrati. Figurati se io dalla Catena andavo a comprare il pane a Silvione». Ma il duro lavoro del panificio lo costrinse a rinunciare alla musica: mentre i suoi amici, tra cui Mario Gestri, crearono i “Corrado e i 93” (93 era la somma delle età dei cinque componenti del gruppo) e cominciarono a girare l’Europa, Franco dovette dedicarsi alle notturne richieste del suo lavoro.
«Ci sposammo il 9 ottobre del 1957. Era un mercoledì. Me lo ricordo bene perché era l’unico giorno libero della settimana in cui potevamo sposarci senza creare problemi al panificio!» Il viaggio di nozze durò un mese, e li portò a girare Francia e Spagna. E qui nonna Luisa si alza una prima volta dalla sedia per mostrarmi una bambola ballerina di flamenco e una lama di Toledo che ancora ricordano quel lungo viaggio. «E sai con cosa partimmo? Con il furgoncino delle consegne, era l’unica macchina che avevamo. Anzi, in Francia ci toccò stare fermi tre giorni per ripararlo». I viaggi. Ecco un’altra grande passione di Franco, che appena il forno glielo consentiva, partiva. «Europa, Asia, Sud America, ne ha visto di mondo. Purtroppo non andavamo quasi mai insieme, perché se uno partiva l’altro doveva necessariamente stare al forno. Non potevamo mai mancare. Ma lui ha girato. Era la sua più grande passione, oltre la musica, e io non l’ho mai fermato».
Chiedo allora a nonna Luisa di raccontarmi il ricordo più bello che ha di suo marito. Ci pensa un po’ silenziosa, poi apre un cassetto e tira fuori una sciarpa di seta porpora, leggerissima e molto elegante. Me la porge e racconta: «L’ultimo inverno di mia madre lo passai tra il forno e l’ospedale, facendo avanti e indietro tra Pistoia e Quarrata con ogni condizione climatica. Fu un anno in cui nevicò tantissimo, al forno non era un grande momento, e io risentivo molto delle precarie condizioni di salute di mia madre. Fu un momento molto duro per me. Franco ha sempre tenuto molto in cura il suo abbigliamento, soprattutto le camicie che dovevano essere sempre in ordine. Era una cosa a cui teneva tantissimo. Ma quell’inverno per me era molto difficile riuscire a gestire lavoro e casa e lui se ne rese conto. Per tutto il periodo in cui mia madre fu all’ospedale, lui iniziò, senza dirmi niente, a portare questa sciarpa, che sostituiva le camicie, o nascondeva i colli non stirati. Fu il suo modo, silenzioso, per dirmi che comprendeva il mio momento. Fu un gesto che mi commosse profondamente perché sapevo che per lui significava molto. Ecco perché conservo ancora questa sciarpa. Era un uomo onesto e generoso, infinitamente buono. Fu questo suo carattere che lo fece apprezzare e conoscere da tutti. Dava valore alle relazioni e all’amicizia».Uno degli ultimi grandi e silenziosi ricordi di una vita, quella di Franco, che ha lasciato il segno, non solo nella storia di Quarrata e del forno che ancora oggi porta il suo nome, ma soprattutto nella vita di chi con lui ha condiviso ogni momento di gioia e di difficoltà e che oggi lo ricorda, con un velo di tristezza ma anche con un amore grande e profondo, ancora oggi vivo e fertile.