di Marco Bagnoli
marzo 2024
Caterina Pagnini è una psicoterapeuta di 31 anni. La sua grande passione è ovviamente la psicologia; tuttavia all’inizio il suo interesse era rivolto verso la medicina, e solo il caso ha voluto che tentasse il test per psicologia. Caterina ha conseguito la triennale a Firenze, più la Magistrale a Milano, al San Raffaele, dove si è specializzata in neuroscienze. Ha quindi proseguito con alcuni anni di ricerca, nel campo delle patologie neurodegenerative, come Alzheimer e SLA. È a questo punto che si rende conto di preferire il lavoro col paziente, al reparto di psicologia del sonno, piuttosto che quello al computer. Torna quindi in Toscana, e dopo aver preso l’abilitazione, dopo altri quattro anni nei quali è diventata psicoterapeuta, nel 2020 ha aperto il suo studio ad Olmi. Tra i suoi pazienti ci sono molti adolescenti, ma anche persone sulla quarantina, la tipica età genitoriale.
Prima di sapere quale panorama osservi dal suo punto di osservazione privilegiato, diciamo però che nella vita si è occupata anche di altro. Infatti, fino a che non ha iniziato con la psicoterapia, Caterina Pagnini è stata anche un volto noto del web, per i circa 80.000 follower che la seguivano con interesse: è stata insomma un influencer. Il suo campo d’azione era quello della cucina, avendo in tasca un diploma da pasticcera. Ha iniziato nel 2012, e nel corso degli anni è poi passata a occuparsi di sostenibilità e minimalismo, fino a settorializzarsi nel campo della pulizia sostenibile. Caterina ha fato tutto questo con lo spirito leggero di fare un lavoro, ma non quello davvero definitivo. E l’anno scorso ha smesso. Le abbiamo quindi chiesto quale sia mai il meccanismo psicologico che muove un influencer, e quale accenda l’interesse in un largo pubblico. Alla base di tutto c’è la necessità insita nell’uomo di essere accettato, di essere riconosciuto nel proprio valore. Ma non solo: per molte persone si crea l’illusione di diventare un amico intimo del personaggio che appare nello schermo, si inizia a coltivare una relazione affettiva con un individuo del quale in verità sappiamo molto poco. Questo perché da anni ormai la vita si è spostata sui social network. Non c’è più questa divisione netta tra rete e realtà.
Tutto questo Caterina lo vede ogni giorno nel corso delle sue sedute, e coinvolge massimamente i giovanissimi: i ragazzini vedono i personaggi del web, magari anche loro molto giovani, come modelli vincenti da imitare, figure coccolate dalle aziende per le quali reclamizzano prodotti, e soprattutto raccoglitrici inesauribili di like. E allora come si può gestire il rapporto dei giovanissimi col web, se anche la scuola usa sempre più il telefono per le sue attività? Come sempre, sta tutto, o quasi, all’opera dei genitori: l’accesso alla rete è pressoché incontrollabile, ma i valori che orientano i ragazzi possono bilanciare l’attrazione irresistibile dei social.
C’è inoltre un certo tipo di contenuto, che Caterina ritiene particolarmente pericoloso: non si tratta tanto dello spettacolo della stupidità, che pure calamita l’attenzione di troppi. Secondo lei sono paradossalmente i contenuti di psicologia a causare i danni maggiori, poiché alimentano nel pubblico non specialistico una serie di convinzioni e preconcetti. A quel punto, lavorare in terapia diventa assai più difficile. Quindi è bene curare la propria salute mentale, se serve anche ricorrendo alla terapia farmacologica, ma sempre confrontandosi con un professionista, in prima persona. Molti giovanissimi oggi si rivolgono alla psicoterapia, o vi vengono mandati dai genitori; andare dallo psicologo è diventata una cosa comunemente accettata, positiva. Sarebbe opportuno “fare un tagliando” alle proprie emozioni, magari prima che il loro malfunzionamento divenga particolarmente invalidante. Come dire?: prevenire è meglio che curare. I tempi di una terapia non sono eterni, dipendono dal caso specifico, e dalla frequenza degli incontri con lo psicoterapeuta, ma le terapie “si chiudono”, e si può passare oltre.