La precisione

La precisione

di Carlo Rossetti

settembre 2014

La casa si sa, è un’esigenza primordiale, un bene di cui non si può fare a meno. Per vivere e per formare una famiglia, occorre un tetto che ci possa accogliere. Purtroppo, specie ora, non tutti la posseggono; altri invece ce l’hanno e possono permettersi un arredamento ricercato, secondo i dettami del proprio gusto. In certi casi l’abitazione non diventa soltanto un rifugio, bensì il biglietto da visita che anticipa lo status symbol familiare. Necessita pertanto che essa sia sempre in ordine e pulita. Non più come un tempo in cui bastava solo in occasione della Pasqua fare le famose “pulizie dell’acqua santa” e, per fronteggiare l’arrivo delle prime mosche primaverili, dare una spruzzatina di flit in ogni stanza, come fosse profumo di Garlen. Erano faccende più approfondite rispetto a quelle di tutti i giorni, che terminavano con segatura e “ginabrese” agli impiantiti. Come il fondo tinta sulle gote.

Ora la casa non è più un bene al servizio della famiglia, ma al contrario, una proprietà da custodire con cura e da tenere sempre in ordine. Ed è facile imbattersi nella casalinga che ha la mania della perfezione, ma per onestà dobbiamo dire che tale comportamento può essere attribuito anche all’uomo, in quanto molti maschietti hanno nei confronti della casa la stessa maniacale cura. Perciò l’abitazione è sì un porto che ci accoglie, ma del quale automaticamente si diventa ostaggio. Ora, analizzando il problema dal punto di vista del marito, se l’uomo non appartiene alla categoria degli ordinati, certamente non se la passerà molto bene. La sua vita in ambito familiare è tutt’altro che facile; deve muoversi con attenzione, cercando di non fare cose che vadano a vanificare il lavoro della propria consorte e a sovvertire l’ordine che regna nelle stanze. In casa deve muoversi con cautela, come il soldato che attraversa un campo minato cercando di non mettere un piede su una bomba. Perciò cerca di non calpestare i tappeti e striscia su apposite pattine; si preoccupa di non lasciare oggetti sulle sedie o comunque fuori di posto, non deve insomma compromettere la “precisione”, tanto a fatica conquistata. Perché la nostra donna riassume col il termine di “precisione”, i concetti di ordine e pulizia.

Tant’è che è facile sentirle dire «Hai visto l’altra sera a casa del tuo amico che precisione? Anche lui deve essere preciso, altrimenti non potrebbero avere una casa così ordinata». In quest’ultima considerazione c’è una larvato rimprovero al marito che capisce l’antifona ma, per non accendere un nuovo contenzioso, conviene con la moglie su quanto ha detto. Altra variante: «la casa sinceramente non mi è piaciuta, è priva di vita, di anima, ma hai visto che ordine, che precisione?!» E nel dire questo sofferma la voce sull’ultima parola, prolungandola, per sottolinearla, in un impasto di ammirazione e stupore. Se una donna, soffocando il proprio orgoglio, attribuisce ad un’altra un riconoscimento così significativo, è segno che non c’è niente da dire circa la tanto conclamata precisione dell’altra. Quando al marito vengono affidate alcune cose da fare inerenti alla pulizia, non deve attendersi un giudizio positivo sul suo operato. E’ già soddisfacente se la moglie sta in silenzio, perché non è difficile sentirla dire «che schifo!», oppure , attingendo a un lessico che diventa un giudizio inappellabile, sentenziare: «è un bel troiaio!», in cui l’aggettivo bel, paradossalmente rafforza il concetto. «E’ impossibile andare avanti così», dice, «tante persone a insudiciare e una a pulire». Casa e pulizia sono i termini più frequentati dalla donna durante la giornata. Se dovessimo fare una hit-parade delle parole usate, quelle citate risulterebbero sempre in cima alla classifica. Uno dei momenti più delicati delle faccende è quello dello straccio sul pavimento, che diventa ancor più delicato se in casa c’è la contemporanea presenza di qualcuno. Nessuno deve passare fino a quando non sarà perfettamente asciutto, perché altrimenti vi rimangono le pedate. Può verificarsi il caso in cui ci sia la necessità di andare in bagno e di sentirsi dire: «proprio ora, che ho dato il cencio?» Se la domanda è rivolta al marito, lui deve fare una riflessione e chiedersi: andare in bagno non tenendo conto della diffida e quindi subirne le conseguenze verbali, o farsi la pipì addosso? Lui deve valutare bene la scelta da fare e giudicare quale sia il male minore. Un marito saggio propende per la seconda soluzione, meno elegante, non proprio dignitosa, ma senza dubbio con conseguenze minori. Perché è risaputo che non c’è oltraggio maggiore per una donna, di quello di calpestare un pavimento appena ripassato con lo straccio. Nemmeno la scoperta delle corna, sono in grado di scatenare altrettanta indignazione e un così forte risentimento in una donna. Perciò il marito è bene che rimanga sul posto, dia il nulla osta alla vescica e proceda allo svuotamento.

C’è un continuo monitoraggio delle azioni del coniuge e talvolta si arriva anche al pedinamento. Come nei film polizieschi, in cui l’agente segue a distanza il malandrino, riparandosi dietro una cantonata e affacciandosi di quando in quando, così la moglie controlla il marito. Sta attenta, senza farsi vedere, a dove mette la giacca appena tolta rientrando a casa, controlla se le scarpe sono state messe nel posto assegnato, oppure scaraventate sotto il divano con un repentino e collaudato colpo di tibia. E’ una sorta di CIA familiare, di KGB domestico, quello a cui la moglie dà vita. Tutto nell’interesse esclusivo della precisione. Vorrebbe il poveretto aderire alle richieste della moglie che vede costantemente impegnata nei lavori di casa, ma sono tanti gli ordini impartiti che non sa come fare ad eseguire. Quando è tra le mura domestiche, avverte un latente stato d’ansia che ogni tanto cerca di mitigare con un blando ansiolitico. Perciò, in presenza di un atteggiamento così ossessivo-compulsivo, sarebbe opportuno invitare la suddetta a parlarne con uno psicologo. Anche semplicemente per un “tagliando”. Dato il perdurare della situazione, il marito aspetta con trepidazione il giorno di pioggia per uscire e andare a cercare una pozzanghera, in cui vi sia possibilmente anche la mota. Vi entra con tutt’e due i piedi e come gesto liberatorio ci sguazza cercando di inzaccherarsi le scarpe il più possibile. Anche i calzoni se può. Oh finalmente!

 

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