di Massimo Cappelli
giugno 2014
Lo spunto per scrivere questo “Concludendo” me lo ha dato ancora una volta il buon David Colzi, mostrandomi un articolo de “Il Fatto Quotidiano” del 21 maggio, a firma Carlo di Foggia, il cui titolo e occhiello riferivano questo: “Ikea, i 25 anni che hanno stravolto il made in Italy”. Potere svedese. Gli artigiani italiani l’avevano sottovalutata, oggi devono accettare le sue durissime richieste per sopravvivere. Poi, l’articolo iniziava così: “Un quarto di secolo per un terzo del mercato […]”. E con queste ultime nove parole vi ho già svelato il suo contenuto; il pretesto del pezzo era legato all’anniversario del primo negozio aperto in Italia nel maggio 1989 a Cinisello Balsamo, vicino Milano.
Ho voluto affrontare questo argomento perché mi è sembrato molto attinente agli avvicendamenti degli ultimi anni accaduti anche a… noi… di qua (tanto per restare in tema). Se mi ricordo bene, qualche anno prima che sorgesse IKEA a Firenze, fu proposta dall’allora sindaco Stefano Marini proprio Quarrata, come location ideale per ospitare il colosso svedese del mobile. L’accordo però non fu mai raggiunto per una forte opposizione dei commercianti del settore, forse pensando di proteggere se stessi, o più semplicemente perché non fu data molta importanza agli svedesi, probabilmente ritenuti incapaci di saper fare e vendere mobili. Carlo di Foggia ha ragione, questa grande azienda fu proprio sottovalutata anche qui da noi, scegliendo di non far contaminare il buon nome della Città del mobile, da un prodotto che non fosse Made in Italy. Ricordo che fra i nostri mobilieri aleggiava anche la comune convinzione che IKEA non facesse concorrenza diretta al loro prodotto, come se avessero venduto… carciofi, invece di mobili! Col senno di poi io dico che, visto soprattutto l’avvenuto decadimento di Quarrata da “polo di attrazione” in fatto di arredamento, oggi poteva proprio tornar comodo avere “in casa” un colosso del genere, che richiama intorno a sé caterve di persone, servendo un terzo del mercato.
Permettetemi di esprimere un parere del tutto personale in fatto di cambiamento in corrispondenza del marketing: il mercato è vivo! Ed in quanto vivo non è statico, è sempre in fermento, si muove con il mondo. Per cui le intuizioni, le scelte e le strategie che hanno fatto crescere negli anni un’azienda o un comparto produttivo, non è detto che debbano rimanere sempre le stesse anche per gli anni futuri, perché, appunto, il mondo cambia, e con esso cambiano le esigenze dei consumatori. L’imprenditore deve intuire il cambiamento, e magari, precederlo, facendosi trovare già pronto quando la domanda si farà avanti. Colui che afferma: “si è sempre fatto così, o perché si dovrebbe cambiare proprio ora?”, è paragonabile all’acqua ferma e puzzolente di uno stagno. Il cambiamento invece è positivo; è rinnovamento, è acqua fresca di fonte a cui si può attingere per dissetarsi. Il cambiamento è vita!
Il signor IKEA, come tanti altri imprenditori che hanno raggiunto l’eccellenza nel loro settore, è sicuramente partito da un sogno, da una sua visione personale. Per raggiungere i suoi obiettivi sono sicuro che ha dovuto combattere e imporre le sue idee a chi aveva intorno. Una volta creato il gruppo di lavoro, si è messo in relazione col suo mercato, approfondendo lo studio sui comportamenti e sui bisogni delle masse; ha creato esattamente ciò che la maggior parte del suoi potenziali clienti si aspettava, esibendo un prodotto a basso costo, originale, coordinato, attraente, intriso di un ricercato design. Poi ha pensato bene di investire in comunicazione per divulgare il brand IKEA nel mondo. Ha persino stampato e distribuito cataloghi in un numero superiore alla stessa Bibbia. Arrivato ad essere uno status symbol, è stato tutto più facile, anche cambiare le abitudini e trasformare i problemi in opportunità, per esempio facendo addirittura credere che un arredamento, perché sia veramente tuo, oltre a pagarlo devi iniziare col montartelo da solo. O bravo Kamprad!
Arrivato a questo punto della lettura qualche mobiliere penserà: “O Cappelli, che cosa vorresti dire?”, e io gli rispondo che voglio solo ribadire quello che altre volte ho detto e scritto. La metafora per rappresentare il mercato resta sempre il rapporto che c’è fra la barca a vela, il vento e il mare: fino a che il vento soffia a poppa e gonfia le vele tutto va bene, quando cambia o diminuisce, invece, si deve saperle aggiustare, rimanendo uniti per coordinare ogni azione, e soprattutto bisogna avere appreso certe tecniche, capire e comunicare, altrimenti restando fermi nella bonaccia, si rischia di essere inghiottiti da qualche mostro marino. È vero anche però, che una “bonaccia” così, nessuno l’aveva mai né vista né prevista.
Voglio comunque concludere con un ricordo e una visione: il nostro Viale Montalbano la domenica di qualche anno fa, di quando, percorrendolo in auto dall’incrocio con Via della Repubblica a Olmi, occorrevano più di quaranta minuti. Vorrei tanto che fosse ancora così, che si tornasse ad essere invasi e felici, come quando Quarrata era ancora definita la Città del mobile.