di Marco Bagnoli
Eccoci di nuovo qua a parlare della storia del mobile di Quarrata, una storia che inizia tanti anni fa e che sembrava fosse destinata a durare ancora per molto, molto tempo ancora. Comunque la si voglia vedere, i capitoli di questo lungo racconto non sono altro che le persone che su questo percorso si sono spese con passione e sacrificio, e che ci concedono il privilegio di poter ascoltare, direttamente dalle pagini originali, come si sono svolti esattamente alcuni dei fatti che pensavamo di conoscere già. Daniele Torselli è uno di questi capitoli viventi, che si lasciano sfogliare con curiosità.
Quando comincia la tua avventura nel mobile?
Io ho lavorato il mobile da generazioni, ho fatto la scuola d’arte, ho disegnato per alcuni anni un po’ di mobili, quindi ho iniziato a lavorare assieme a mio padre, fino al 2002, quando abbiamo chiuso – ma nel frattempo che si è lavorato, si è lavorato anche in maniera consistente, con l’estero, coi paesi dell’Est quando ancora c’erano le frontiere chiuse e con la Russia già prima degli anni Novanta. Nel frattempo ho affittato gli spazi e mi sono messo a disegnare per qualche amico – la situazione che è un po’ capitata a tanti. Poi adesso in una zona dei capannoni dove avevo gli uffici, mi sono messo a lavorare come designer, col progetto di realizzare una serie di prototipi che costituiranno un catalogo tutto mio personale di articoli del tutto originali per vedere se è possibile rientrare a fare l’artigiano, perché secondo me, oggi come oggi in Italia non è possibile pensare di rimettere su un’attività industriale, quella che a Quarrata è un po’ mancata, coi risultati che sappiamo. Giustamente poi i tempi di realizzazione sono un po’ segnati dalla prudenza, perché nell’ambito dei fotografi professionisti si fa alla svelta a spendere dei soldi…
Sei da solo a fare questo? – ideazione, disegno, progettazione?
Sì, da solo – c’è il mi’ figliolo con me, e in più, nel caso avessi bisogno, mi appoggio ad alcune ditte per la realizzazione pratica. Mi è capitato di disegnare per alcune aziende, ma poi la realizzazione effettiva non l’ho fatta io – soprattutto su Pesaro, dove ho maggiore conoscenze, e dove anche loro ce l’hanno, essendo una zona dove sanno fare l’arredamento, mentre qui, secondo me, il mobile non lo si sa fare, al di là del divano e della poltrona. O vai su nella Brianza o nella zona di Pesaro…
Come sono questi nuovi articoli a cui stai lavorando?
Sono prodotti che ho ideato con la convinzione di far bene, un design tutto mio, nel quale lavoro il legno, il cuoio, il metallo, da proporre a dei partner meglio indirizzati alla qualità che non alla quantità, come mi è sempre capitato di lavorare. Forse la sola salvezza per il Made in Italy e per l’artigianato, se si vuol restare a lavorare in Italia, è la ricerca della qualità, lavorando magari in dimensioni sempre più raccolte. Anche per tutta la questione della tassazione… è un po’ un problema lavorare con un socio come lo Stato, no?
Ci saranno anche dei momenti di riflessione ogni tanto, o no?
L’unica riflessione è quella del portafogli, quando si rallenta un attimo per foraggiare il progetto; per il resto ho già tutta una mia linea in mente, che parte dalla camera da letto, alla cucina, per cercare di colpire e interessare essenzialmente quella fascia di mercato che può spendere di più, non potendo pensare di potersi misurare coi numeri della grande distribuzione. Perché la roba bella è sempre richiesta – bisogna ritornare alla competenza del bravo sarto di una volta, che vestiva quelle persone che volevano sentirsi diverse. Io voglio cercare di fare il sarto dell’arredamento.