di Marco Bagnoli
dicembre 2012
Si sta avviando a concludere il suo primo anno nel territorio di Quarrata; don Fausto è un giovane sacerdote di quarantadue anni, ordinato nel 1998 e già attivo “sul campo” l’anno successivo nelle parrocchie di Saturnana, Le Grazie e San Felice, alla periferia di Pistoia.
Il bilancio di questo primo anno qui a Quarrata?
Stancante, ma positivo; è una bella parrocchia questa qui, ci sono molte attività da seguire, diverse realtà da coordinare… è un po’ l’eredità lasciata da don Mauro, un’organizzazione complessa in cui è stato impegnativo entrare nel meccanismo, come penso sia normale un po’ per tutti quelli che si trovano a far parte di una nuova realtà. Ci sono anche molti giovani coinvolti nella comunità e questa è una bella cosa.
A proposito di giovani, cosa spinge un ragazzo “normale” alla decisione di entrare in seminario?
A ventidue anni, in seguito ad un evento che mi ha posto degli interrogativi, mi sono messo a cercare – prima studiando nell’ambito della teologia, per vedere di trovare qualche risposta a queste domande così grandi. E a quel punto sono andato avanti, come dire, “ bene-bene o male-male”; quando la vita ti scuote da quello che sembrava fin lì tranquillo e ti pone delle questioni importanti, ci sono due strade: o lasci fare, fai un po’ come se non sia successo niente, oppure le affronti e arrivi a qualcosa. Nel mio caso era capire come funziona il mondo, come funzionano il bene e il male. E con lo studio è arrivata anche la conferma della fede, che magari prima era meno evidente, ma comunque c’era.
Ed è una cosa che può capitare più o meno a tutti?
Certo, l’esperienza di questa vita è la stessa per ognuno, anche se non tutti finiranno col farsi sacerdoti – del resto può benissimo capitare che ad esempio uno, non si sposi – ma una qualche risposta io penso che i giovani la vogliano trovare.
Essendo così giovane penso che il rapporto coi ragazzi sia allora facilitato…
Si, ma fino a un certo punto, ad esempio le ultimissime generazioni sono molto diverse, c’è già molta più differenza rispetto a sei, sette anni fa.
Sei su Facebook?
No, perché non avrei il tempo di stare dietro a tutta quella massa di informazioni; e poi ci sono alcuni aspetti che proprio fatico ad “accettare”, come il fatto di svilire quella bella cosa che è l’amicizia, in una lista di nomi su un angolo dello schermo, o di coniugarla alla semplice conoscenza che si fa in rete. Ma sia ben chiaro, non ho niente contro le nuove tecnologie, solo bisognerebbe servirsene per rendere migliore la nostra vita e non per banalizzarla senza attenzione.
Sei nato a Chiesina Montalese, com’era composta la tua famiglia?
In casa eravamo io, mia sorella più piccola e i miei genitori – adesso poi ho anche un nipotino. Una famiglia “normale”, praticante, ma non particolarmente; anche io ho fatto il mio itinerario di Comunione e Cresima nei tempi giusti, ma come tutti gli altri ragazzi della mia età; sono sempre andato alla Messa la domenica, con la “leggerezza” e l’abitudine che poteva avere un ragazzo negli anni Ottanta-Novanta, niente più.
E come si fa a vincere questa abitudinarietà che si tende sempre più a vivere oggi?
Nel mio caso, ti ripeto, trovandomi di fronte ad alcuni eventi della vita che ti danno uno scossone e ti svegliano dal torpore; la si può chiamare grazia di Dio, caso, fortuna, ma è una cosa che ti cambia la vita. Oppure, se siamo stati educati a rivolgere uno sguardo più critico sul mondo si può sperare di non addormentarsi mai.
Sei parroco qui a Santa Maria, a Lucciano e a Buriano, oltre alla parrocchia di Violina e a quella di Santallemura, dove però ti dividi con due vice parroci; adesso che arriva il Natale cosa vorresti dire alle persone che ci stanno leggendo, siano tuoi parrocchiani o no, magari anche non credenti?
Spero sia un buon Natale e che si sappia poter cogliere il mistero di questo Dio che si fa carne non duemila anni fa, ma oggi nel 2012, come dicevo prima, e imparare ad avere uno sguardo critico con cui guardare il mondo, riuscire a trovare in ogni vita e in ogni volto il riflesso di Dio; camminare un po’ con Dio, anche senza accorgersene, come i discepoli di Emmaus – sarebbe già qualcosa.
Però poi l’hanno riconosciuto!
Si, mentre spezzava il pane; un gesto molto banale a quel tempo, ma forse Lui lo faceva in un modo particolare, forse quel gesto di condivisione assumeva tutto un altro significato, più vero.