Don Maurizio Andreini

Don Maurizio Andreini

di Massimo Cappelli

ottobre 2012

Credo proprio che dopo il sarcasmo subìto nell’ultimo “Concludendo”, il nostro caro don Maurizio Andreini, da poco ordinato sacerdote, meriti un’intervista seria, così l’ho invitato in redazione. Quando mi è apparso davanti, devo dire che l’ho trovato in gran forma, sereno e rilassato, in attesa della sua destinazione, ma al contempo scalpitante di iniziare la sua Missione.

Cosa spinge un uomo di trentacinque anni, con un lavoro già avviato ed un futuro apparentemente già disegnato, ad entrare in seminario?
La Vocazione è un dono di Dio. Noi, siamo chiamati da Lui, e la nostra è solo una risposta. A me non mancava niente, tuttavia non avevo pace e nei momenti in cui restavo solo, nei pensieri più profondi c’era una voce che mi chiamava. Fu grazie ad uno dei tanti incontri spirituali che presi la decisione, soprattutto per merito di un prete, con il quale mi confidai. In questa vita terrena ognuno di noi deve lasciare un segno del  proprio passaggio; la stragrande maggioranza lo fa materialmente, noi preti, invece, dobbiamo farlo sul piano spirituale. Io ho voluto sposare la comunità, e come qualsiasi ragazzo che decide di sposarsi, non rimpiango niente del mio passato, ma da ora in poi, voglio dedicarmi solamente alla gente e alla grande famiglia che il Vescovo vorrà affidarmi.

Hai già un incarico o una parrocchia assegnata? E avresti qualche preferenza?
No, ma il Vescovo mi ha già detto che è questione di giorni (attualmente è vice parroco alla parrocchia de Le casermette di Pistoia n.d.r.). Come tutti gli “ordinati da poco”, farò il vice parroco, il cappellano di una volta. Per quanto riguarda le preferenze non ci ho mai pensato; qualsiasi destinazione andrà bene. Certo, ci sono delle parrocchie a cui sono più affezionato, soprattutto quelle dove ho già prestato servizio, e sono sicuro che non sarà una di quelle. La nostra diocesi è ampia, parte da Limite sull’Arno, Poggio a Caiano, Bonistallo, Oste, Montemurlo, Quarrata, Montale , Agliana e tutta la montagna pistoiese. A me piacerebbe una parrocchia “viva”, con tanta gente giovane e dinamica, più gente c’è, più si assolverà la mia missione di prete diocesano.

C’è qualcosa sulla quale non sei del tutto d’accordo con i metodi della Chiesa? E cosa vorresti fare per cambiare alcune cose?
Io sostanzialmente non ho niente da ridire sulla struttura ecclesiastica. Devo dire però che viviamo in una società dove si sta  perdendo il senso di Dio. Si è appena chiuso il novecento, un secolo molto difficile dove varie forme filosofiche, per citarne solo una, il nichilismo, hanno annientato l’uomo conducendolo al “nulla” e facendogli, appunto, perdere il senso di Dio. Ma non ci dobbiamo preoccupare perché la Chiesa è radicata in Cristo e Cristo vince sempre sul male. Quello su cui ci dobbiamo veramente concentrare è come riportare il popolo di Dio verso una nuova evangelizzazione. Dobbiamo trovare il modo di contrapporci al “nulla”, di  riconvertire l’uomo e cambiare in meglio tutti, forse… anche noi preti e uomini della Chiesa.

Cosa farai quando avrai una parrocchia tua?
Questa è una domanda difficile nella sua semplicità, perché ci sono parrocchie e parrocchie:  più ricche, più povere, fatte di giovani o di meno giovani e così via. Quello che interessa a me è seguire tutti coloro che hanno bisogno, i vecchi, le famiglie, ma soprattutto i giovani. Praticare l’accompagnamento spirituale e il discernimento vocazionale, questo mi è sempre piaciuto molto. Ma attenzione la vocazione non è solo farsi preti o suore; è una vocazione anche la famiglia,  tanto che  nel Concilio Vaticano secondo, il Sacramento del matrimonio si rinnova mettendo al centro i due coniugi e la Sacralità della famiglia.

Come è andata la prima Santa Messa e la prima Omelia?
La celebrazione è scritta, ma nonostante ciò, si possono fare piccoli errori dei quali i fedeli non si accorgono quasi mai. Ti confesso che il mio problema credevo fosse proprio l’Omelia: il dover fare un discorso tutto mio a tanta gente, cosa dire e come dirlo. Prima tanta tensione, poi, come se avessi rotto il  ghiaccio, ho parlato, con semplicità e per lungo tempo. Non ho scritto niente, perché preferisco andare a braccio, anche se farsi una scaletta non sarebbe male perché in Teologia ci sono concetti talmente sottili che è facile sbagliare. Siccome l’Omelia è un esortare i fedeli, io credo che un buon prete dovrebbe prepararsi, non solo sul Vangelo del giorno, ma su quello di tutta la settimana: leggere, meditare e pregare per essere pronto a tirar fuori i contenuti e comunicarli nella maniera più semplice, arrivando a toccare l’individuo nel profondo.

Ora hai l’opportunità di parlare ai quarratini…
Vorrei dire loro grazie, perché nel popolo di Quarrata  è  maturata la mia vocazione. La vocazione dicevamo all’inizio, è un dono di Dio, ma essa nasce sempre in un ambiente comune e per questo voglio ringraziare la comunità. Io sono orgoglioso di essere un quarratino e l’augurio che voglio fare ad ogni abitante è quello di seguire Dio perché Egli porta sempre cose meravigliose che noi, con le nostre limitatezze, non possiamo nemmeno immaginare. Mi auguro anche di non rimanere l’ultimo quarratino ad essere diventato sacerdote e aspetto, di qui a poco, altri  ragazzi che intendano prendere questa strada.

È stato un piacere per me fare questa intervista, scoprire una persona che conosco da decenni in una nuova veste, con la stessa voce, la stessa fisionomia certo, ma con qualcosa in più: un volto con una luce nuova.  Poi devo dire che è la prima volta che un sacerdote mi racconta tante cose di sé, fino ad ora… è sempre successo il contrario.

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