di David Colzi
settembre 2010
Se si parla di mestieri che se ne vanno, il primo pensiero di tutti va alla coltivazione dei campi, perché la nostra città è stata fino agli anni ’60 zona di orti, viti ed allevamento . Per questo siamo andati a Catena di Quarrata da un contadino, per parlare del suo mestiere e visitare la sua casa colonica, con l’aia piena di galline, anatre e paperi: insomma abbiamo fatto un salto indietro di quarant’anni.
Come ha iniziato questo lavoro?
Da bambino, imparando da mio padre, che a sua volta aveva appreso i segreti della terra da mio nonno. Da più di cent’anni la mia famiglia abita qui a Catena.
Una vita dura.
A volte si lavorava anche diciotto ore al giorno. Ci si alzava alle tre del mattino e dopo aver “governato” le bestie si partiva per i campi. Prima si coltivava molta saggina, che poi è stata sostituita dal panìco e negli ultimi anni granturco: ma i prezzi concorrenziali che arrivano dall’estero non ci permettono più di continuare perché non riusciamo a rientrarci con le spese.
Immagino la fatica di lavorare in inverno…
Nell’immediato dopoguerra non c’erano ancora le auto che spostavano l’aria, o l’asfalto a riscaldare le strade, quindi in pieno inverno il freddo era totale: pensi che a volte gelava addirittura l’Ombrone! Oggi non succede.
Eravate tanti in famiglia?
Si arrivava a mettere a tavola anche dodici persone a volta e quando era periodo di vendemmia o di battitura del grano, si arrivava anche al doppio, perché aumentavano i braccianti.
Non doveva essere facile dar da mangiare a tutti.
Noi contadini siamo sempre stati più avvantaggiati in quanto producevamo i beni di prima necessità. Allora si faceva anche il pane in casa: si sfornavano una ventina di pagnotte per volta, dal peso di due o tre chili ciascuna. Era pane ottimo che rimaneva buono anche per una settimana.
Era importante avere l’Ombrone vicino?
Eccome! Prima nei fiumi si lavavano i panni, si poteva bere l’acqua, si pescava e non a caso tutti i bambini sapevano nuotare, in quanto facevano il bagno nel fiume… oggi è impensabile!
Importante sarà stata anche la vicina statale 66.
Vero. pensi che da qui passava anche il lattaio con il suo carretto. Si fermava da noi alle cinque del mattino, caricava il nostro latte appena munto e lo portava a Firenze per la vendita. Si vendeva anche la carne dei nostri vitelli e dei maiali. Oggi il nostro lavoro è solo per il consumo familiare.
In periodo di guerra sarà stato più duro…
Allora persino il grano ci veniva razionato. Quindi noi lo mettevamo dentro le damigiane vuote e lo sotterravamo per avere una scorta. Magari sopra la terra si coltivava anche l’orto per mimetizzarlo meglio.
Poi cosa è cambiato?
Con gli anni ’60 è arrivato il boom economico del tessile a Prato e del mobile a Quarrata, così i giovani iniziarono a lasciare le campagne per un lavoro più redditizio. Pian piano non è rimasto più nessuno a lavorare la terra, solo noi vecchi!
E i bambini di oggi?
Sanno poco o niente della natura. I bambini dei nostri vicini vengono sempre qua da noi perché si divertono a vedere il cortile piena di animali, scoprono come nascono i pulcini e imparano tante cose: per loro è come andare allo zoo. (sorride)