di David Colzi. Ph. Foto Olympia
giugno 2022
Negli anni abbiamo parlato diverse volte di quel che c’è di interessante alla Querciola di Caserana, portando alla vostra attenzione il Museo Casa di Zela, la sua stanza dei giocattoli e l’area naturale che lo circonda. Adesso, per completare, parleremo del “babbo” del museo, Ernesto Franchi, l’uomo che sta dietro la realizzazione di questo piccolo gioiello della civiltà contadina e del nostro passato recente, fatto di oggetti collezionati durante tutta una vita, la cui raccolta è iniziata quando lui aveva appena sei anni.
Ernesto è originario di Campli, provincia di Teramo, e la sua famiglia ha conosciuto la Toscana grazie al padre Pio, che faceva un lavoro che oggi non esiste più: il “Chincaglière” (dalle nostre parti storpiato in “Trincaglière”), mestiere ereditato a sua volta dal padre Serafino. «Probabilmente in Toscana si diceva così» precisa sorridendo Ernesto, «perché questi uomini non disdegnavano di “trincare” qualche bicchiere di vino, per non sentire la fatica». Infatti, battute a parte, si trattava di un lavoro sfiancante, in quanto questi erano venditori ambulanti che si spostavano a piedi per chilometri fino ai borghi più isolati, spesso di montagna, per vendere oggetti di prima necessità, portando a spalla una cassetta pesante molte decine di chili. Erano una sorta di merceria-mesticheria itinerante. «A Campli, non c’è stato un solo “Chincaglière” che non sia venuto almeno una volta a vendere in Toscana». A forza di passare dalle nostre parti, Pio trovò lavoro a Prato, nel settore della divisione degli stracci.
Così nell’aprile del 1957, inseguendo la speranza di una vita più gratificante, la famiglia Franchi, composta da Pio, sua moglie Norina, Ernesto, il fratello Liberatore e la zia Sofia, si trasferì a Quarrata. Gli inizi però furono all’insegna della diffidenza: «Qui ci consideravano “marocchini”, perché venivamo dal sud. Siamo stati fra i primi…». Come se non bastasse, col tempo Pio si ammalò ai polmoni a causa del lavoro, e così anche il piccolo Ernesto, a soli cinque anni, dovette contribuire alla famiglia, andando a sfogliare le granate, un mestiere che prevedeva anche il respirare l’esalazioni dello zolfo. Invece suo fratello Liberatore, più grande di due anni, andò a fare i cannelli.
Com’è iniziata la tua collezione?
«Accadde tutto durante il primo dicembre che trascorremmo a Quarrata. Noi non avevamo soldi per decorare l’albero, e a dire la verità nemmeno l’albero, infatti mia mamma prese una frasca di ginepro e l’addobbammo con quel poco che avevamo. Allora una mia amichetta di scuola, Mariella, mi regalò una ciabattina di cartone per avere qualcosa in più da appendere (foto verticale in quest’articolo ndr). Non ho mai dimenticato quel gesto di puro altruismo e quel piccolo oggetto lo conservo ancora oggi dentro una teca. Tutto è cominciato così».
E non ti sei più fermato…
«A quattordici anni, dietro casa, costruii un piccolo capanno con scarti di legno e cominciai a inchiodarci dentro i primi oggetti, alcuni dei quali trovati dal mio babbo quando lavorava gli stracci; c’erano bottoni, pesi e poco altro… Vedi, già sognavo un museo!»
Un tipo originale Ernesto, a cui la sera piaceva andare col babbo all’osteria Vettori di Olmi, per sentire i racconti dei vecchi contadini e mediatori, osservando gli arnesi che portavano con sé. Erano uomini che vivevano ancora in un antico mondo rurale, parlando una lingua piena di parole che parevano arrivare dritte dal medioevo. Termini come: Mandarètta, Sàrchio, Aggiògo, Imbottaìna, Diavolino o Diavolaccio accendevano la fantasia di Ernesto, la sua sete di conoscenza e la voglia di possedere quegli attrezzi, spesso riadattati dai contadini, quindi oggetti unici e testimoni della loro fatica e del loro ingegno. Passarono i decenni e di recupero in recupero, la collezione iniziò a gonfiarsi a dismisura; i vari arnesi trovarono quindi ospitalità nella rimessa di un amico, in casa Franchi e nella tappezzeria dove Ernesto lavorava col fratello. Alla fine degli anni ’90 arrivarono le prime mostre a Casale, Quarrata e Agliana. La voce si sparse e ad ogni appuntamento i visitatori aumentavano, tanto che una mostra a villa la Màgia che doveva durare due mesi, rimase aperta due anni, attirando molte scolaresche. A questo punto l’ex sindaco Stefano Marini e l’assessore Marco Meoni, decisero di trovare una casa alla collezione Franchi. Iniziò quindi il percorso che ha portato il 18 ottobre del 2009 alla nascita del Museo Casa di Zela, uno dei più completi in Italia, che possiede anche reperti eccezionali della prima e seconda guerra mondiale. «Devo ringraziare tanto mia moglie Tiziana che sopporta tutto questo da una vita» precisa sorridendo Ernesto. «Lei, con mia figlia Valentina e mio genero Valentino, mi ha aiutato a sistemare il Museo, ed è tutt’oggi una presenza fondamentale qui in Querciola, assieme ai volontari dell’associazione “Amici di Casa di Zela”».
Rimanendo in tema di famiglia, so che hai una nipotina con la tua stessa passione…
«Vero; si chiama Teresa e ha dieci anni. In effetti anche lei ama collezionare oggetti, per questo le dico sempre che sarei felicissimo se un domani decidesse di prendere in mano le redini di questo piccolo museo “del passato”, per farlo vivere anche “nel futuro”».
Grazie a te il museo possiede migliaia di utensili da lavoro e altrettanti oggetti di vita quotidiana; conosci il nome e la funzione di tutti?
«Ne sono rimasti tre o quattro sconosciuti, ma presto o tardi capirò a cosa servono, magari trovando spiegazioni in qualche libriccino trovato per caso in una bancarella dell’usato, com’è capitato spesso».
E un capitolo a parte lo meriterebbe proprio la biblioteca di Ernesto, con i suoi libri e le fotografie storiche, alcune inedite. Si tratta di un’ulteriore risorsa per conoscere le nostre radici popolari ed è utilizzata da studiosi per ricerche e da studenti per tesi di Laurea; pensate che ne sono state realizzate ben sette con l’aiuto di Casa di Zela. Quindi non è escluso che torneremo ancora alla Querciola, per aggiungere un altro pezzo alla nostra “collezione” di articoli su questo universo affascinante.