Faliero l’inchiostraio

Faliero l’inchiostraio

di Carlo Rossetti

dicembre 2013

Negli anni ’40 giungeva a Quarrata con una bicicletta nera ridotta all’essenziale. Non solo mancavano gli optional delle moderne mountain-bike, ma quella era persino priva di carter e parafanghi. Soltanto il sellino, sorretto da grossi molloni bene in vista, poteva vantare come zaino, la borsetta porta-ferri. Il manubrio si adornava, se così si può dire, di un grande lume spettrale e dalla parte posteriore un ampio portapacchi era pronto ad accogliere una cesta con la merce da vendere. Tutto lì.

Faliero “l’inchiostraio”, questi i soli dati con i quali era conosciuto, appena arrivato da Pistoia, appoggiava la “denutrita” bicicletta al muro del Comune e per prima cosa si toglieva le mollette da panni con le quali si era appuntato i calzoni, per evitare che durante la pedalata finissero preda della catena. Quindi imbracciava la cesta, dopo avere rimosso lo spago che la teneva legata e iniziava il suo giro. Fra lui e la bicicletta vi era molta attinenza, nel senso che anche il suo abbigliamento era ridotto all’osso: calzoni, maglietta, una spolverina nera sopra e, ai piedi, scarpe da tennis in età pensionabile. Aveva un volto magro con grandi labbra violacee, maculate da alcune macchie d’inchiostro, frutto delle soffiate con le quali era solito pulire le penne stilografiche prima del caricamento. Infine occhiali spessi come fondi di bicchiere, perennemente inforcati per compensare un’avanzato deficit visivo, che lo facevano assomigliare a un subacqueo. La voce grave e stentorea, in contrasto con la persona, pareva non gli appartenesse, sì da sembrare “doppiato”. Nonostante questa povertà esteriore e reale, aveva un modo di comportarsi dignitoso e al tempo stesso modesto, da non supporsi in uno di umili estrazione come lui. Era difficile che si rivolgesse a qualcuno senza dargli del signore.

Andava di casa in casa a vendere con la cesta sotto il braccio e la sua era diventata una presenza abituale. La gente, che comprasse o meno, gli dava ascolto e mai nessuno si sarebbe sognato di liquidarlo come oggi avviene con i “vu cumprà”. Non disdegnava al passaggio, un buon bicchiere di vino, che accettava dopo un prudente e non insistito diniego e a volte, certi effluvi, sulla cui natura enologica non sussistevano dubbi, facevano intuire che Faliero aveva fatto il pieno. Comunque senza che ciò ne modificasse il contegno. La domenica invece aspettava i clienti al mercato, dove in posizione strategica piazzava un piccolo banco. «Specialità di veleni! Medicina per i topi e per le piattole!» Ripeteva con voce tonante. Ora vien fatto di chiedersi come mai fosse soprannominato “l’inchiostraio”, se la merce reclamizzata era di tutt’altro genere: perché insieme ai veleni vendeva anche l’inchiostro, del quale a quei tempi si faceva largo uso, prima che le penne a sfera avessero soppiantato i pennini “a foglia” e “a campanile”. Perciò, il soprannome, era legato a questa attività, trascurando la seconda altrettanto importante ai fini della sopravvivenza. Ma chissà perché nell’annuncio non ne facesse menzione. Ora la cosa più strana era quel suo specialità di veleni in antitesi con medicina per i topi e per le piattole, che faceva pensare come lui potesse indifferentemente soddisfare la richiesta di chi intendeva disfarsi di roditori e parassiti e di quanti invece, presi da uno smisurato amore per questi abituali condomini di allora, intendessero in caso di malattia curarli amorevolmente. Ma anche questo a ben vedere, si poteva armonizzare con questa singolare figura. Perciò, questa incursione nella memoria, alla ricerca di personaggi caratteristici che hanno fatto la piccola storia di Quarrata, serve ad annoverarlo fra quelli a denominazione d’origine controllata e in tempi come questi, in cui si sprecano premi e riconoscimenti vari, ad attribuirgli a posteriori, se pur simbolicamente, la cittadinanza onoraria.

Articolo apparso su “Il Tirreno” in data: 29/08/1991

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