di David Colzi (prima parte)
giugno 2017
Ancora una volta torniamo a raccontare la nostra storia recente senza utilizzare un libro di testo, ma affidandoci alla memoria di chi era presente all’epoca dei fatti. Siamo nella Ferruccia degli anni ’40, e le vicende qui riportate sono state salvate dall’oblio da una signora, Franca Ballardini (1925-2009), che le ha messe nero su bianco in un suo memoriale inedito, sottoposto alla nostra attenzione dalla figlia Claudia.
Franca non era di qua, essendo nata a Lugo in provincia di Ravenna, ma si trovò ad abitare a Pistoia in tempo di guerra con la sua famiglia, che era composta dal padre Achille, dalla madre Wanda, dal fratello Mario e dalla sorella Renata. Dopo l’8 settembre, come ricorda lei nel suo scritto, a Pistoia iniziarono i bombardamenti degli alleati, per cui tutta la famiglia dovette sfollare in campagna. Così i Ballardini si ritrovarono ad abitare a villa Baldi di Ferruccia, grazie al fatto che il signor Achille era amico del proprietario. Già allora, ricorda Franca, la villa era disabitata. Questa la sua descrizione: «Nella villa c’erano due appartamenti, uno al piano terreno, in cui abitavamo noi, e un altro al secondo piano, arredato con bellissimi mobili d’antiquariato. Il portone d’ingresso dava su un androne in mezzo al quale troneggiava un biliardo, mentre una scala di una certa imponenza collegava i due appartamenti». Nonostante la bella sistemazione, Franca vedeva sé e i suoi fratelli come «relegati in campagna», lontani dagli amici, con pochi diversivi e fra l’altro molto impauriti, dato che arrivavano notizie sempre più allarmanti di rastrellamenti, deportazioni e fucilazioni di massa «per ogni minimo atto di ribellione» ad opera dei nazisti.
A spezzare quelle giornate tutte uguali, arrivò un giorno un soldato tedesco «mingherlino» di nome Orlando che si trasferì nell’appartamento ai piani superiori. Ad una ragazza giovane e curiosa come Franca non ci volle molto per capire che lui era lì per organizzare qualcosa di segreto, dato che spesso si intratteneva a parlare col fattore della fattoria adiacente alla villa. Così nei giorni seguenti il suo arrivo, alcuni contadini iniziarono a scaricare damigiane di vino e sacchi pieni di derrate alimentari, rimanendo sempre tutti con le bocche cucite. Quando però venne portato in villa un pianoforte e sistemato al secondo piano, Franca capì che si stava preparando un pranzo o una cena segreta.
Il seguito leggiamolo direttamente dalle sue parole: «Finalmente una sera, Orlando scese giù e spalancò il portone della villa, davanti al quale si fermò un macchinone nero, guidato da un soldato; il soldato balzò giù dal posto di guida e si precipitò ad aprire lo sportello posteriore destro della macchina, da cui scese un ufficiale di alto grado, elegantissimo, con il petto pieno di decorazioni e con tanto di monocolo. Entrò nell’androne camminando tutto impettito, ma con lo sguardo fisso davanti a sé, volutamente ignorando la nostra presenza, s’infilò su per lo scalone e scomparve velocemente alla nostra vista. Poi ci fu tutto un susseguirsi di altre macchine che trasportavano altri ufficiali (…)» Ecco risolto il mistero: si trattava di una cena segreta di ufficiali della Wehrmacht. Grazie alle memorie di Franca sappiamo anche come finì quella serata: dopo le prime due ore in cui tutto si svolgeva normalmente, «i cori si fecero più alti le risate più sguaiate, il chiasso sempre più forte». Il padre di Franca, saggiamente, mandò per precauzione la famiglia a dormire nella fattoria vicino alla villa, rimanendo da solo a vegliare sulla situazione.
Il mattino dopo quando i Ballardini tornarono al loro appartamento, vennero accolti da un silenzio spettrale e videro quali erano i risultati dei festeggiamenti della sera precedente: il biliardo dell’androne era stato rovesciato, i pilastri della ringhiera della scala interna risultavano semidistrutti e le lastre di marmo che li ricoprivano, erano state scalzate e buttate giù. A quella inaudita ferocia non erano scampati neanche i mobili d’antiquariato del secondo piano e persino il pianoforte era ridotto in mille pezzi. Non paghi di tale brutalità, gli ufficiali si erano accaniti anche sul cane da caccia della fattoria, ferendolo mortalmente con un colpo di pistola, per poi lasciarlo in agonia sui gradini della porta d’ingresso. Franca aggiunge: «Mio padre, pallido e stanchissimo, aveva infatti vegliato tutta la notte, all’alba aveva visto ricomparire gli attendenti, che avevano accompagnato alle macchine questi potenti uomini della guerra, pallidi, scomposti, discinti, alcuni in preda al vomito, per poi dileguarsi tutti in gran fretta». Ai nazisti comunque villa Baldi piacque molto, tanto che poi vi insediarono il loro comando.
Mentre tra la primavera e l’agosto del ’44, quando l’avanzata americana si spinse fino a Firenze, il memoriale di Franca riporta questi ricordi: «Di un’imminente ritirata tedesca avemmo sentore alla Ferruccia, dal fatto che i tedeschi cercavano di arraffare quante più cose potevano, per portarle via e ci fu un episodio piuttosto esilarante in questo contesto. Quando fu il momento di sgomberare anche per gli ufficiali, che formavano il comando insediato in fattoria, essi volevano portare via i mobili del salotto della mamma, lei si arrabbiò moltissimo, si sedette al centro del suo divano e disse che se volevano portare via i suoi mobili dovevano portare con loro anche lei. L’Ufficiale che dirigeva i lavori, tra il divertito e l’arrabbiato lasciò perdere e così la mamma poté riportare a Pistoia i suoi mobili».