Fisco più amico… forse

Fisco più amico… forse

di Alessandro Pratesi

giugno 2024

A distanza di dieci mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge delega (legge 14.08.2023, n. 111) prosegue il cammino della riforma fiscale, attuata mediante decreti legislativi e ben nove testi unici (quest’ultimi attualmente in bozza). Ebbene, in attesa del completamento, da una prima analisi emerge una particolare attenzione al riequilibrio del rapporto contribuenti – Fisco, finora nettamente sbilanciata a favore di quest’ultimo. In tal senso devono essere lette le norme sul cd. “legittimo affidamento”: come principio generale, l’amministrazione finanziaria non potrà effettuare accertamenti senza concedere la possibilità di contraddittorio. Analoghe considerazioni sulla revisione, al ribasso, delle sanzioni che, finora, risultavano non solo eccessive, ma spesso anche palesemente sproporzionate rispetto alle violazioni commesse. Con altrettanto favore deve essere accolta, altresì, la possibilità di pagare in un più ampio arco temporale gli importi non versati, quali risultanti dall’emissione di cartelle. Ebbene, fermo restando che poche righe non possono esaurire tutti gli aspetti di una riforma così complessa, qualche riflessione è d’obbligo sul vero punto dolente della questione, ossia il gravissimo danno creato ai conti pubblici dall’evasione fiscale.

Sul punto, però, occorre fare chiarezza su un aspetto concettuale che, sovente, la stampa e i programmi televisivi commentano, per così dire, assai maldestramente: il riferimento è all’enorme “magazzino” degli insoluti, ossia degli importi richiesti ai contribuenti, pari a circa 1.200 miliardi. Una cifra che equivale, più o meno, a 40 manovre finanziarie. Un dato, questo, che la dice lunga su una delle concause che hanno contribuito alla voragine presente nella casse dello Stato. Ciò premesso, occorre distinguere tra evasione e incapacità di fare fronte alle proprie obbligazioni tributarie e previdenziali. In altri termini, non è corretto equiparare la scelta deliberata di non fatturare i ricavi e i compensi – evasione in senso proprio – e l’impossibilità, per effetto della crisi di liquidità, di pagare le imposte, l’Iva e i contributi che, oltretutto, risultano regolarmente indicati nelle dichiarazioni. In questa seconda ipotesi, infatti, è di palese evidenza che il contribuente potrebbe non avere rispettato le scadenze di pagamento non per una deliberata volontà, ma per cause impreviste e di natura eccezionale. Si pensi, ad esempio, ai mancati incassi di fatture conseguenti al fallimento di un cliente o a un calo repentino del fatturato per effetto di tensioni internazionali o, per ricordare una tristissima pagina recente, l’impatto della pandemia, che ha colpito duramente larghi settori dell’economia. Dunque, è di chiara evidenza che le due forme di inadempimento sono profondamente diverse; pertanto, non possono e non devono essere punite utilizzando lo stesso metro.

Da evidenziare, infine, un aspetto fondamentale: qualunque progetto di riforma che intenda ridurre significativamente le storiche incongruenze del sistema fiscale non può prescindere da un processo di sburocratizzazione e di riorganizzazione degli adempimenti. In difetto, è altissimo il rischio di creare nuove norme che, oltre ad accentuare la complessità del sistema, non saranno in grado di eliminare il problema più grave: l’evasione fiscale, per l’appunto …

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