di Alessandro Pratesi
dicembre 2022
La flat tax, o tassa piatta, è un tema molto controverso. Non si tratta, tuttavia, di una novità assoluta: le rendite finanziare già scontano un’aliquota fissa (26%); altrettanto avviene per i redditi d’impresa prodotti dalle Srl e dalle Spa (24%), salvo poi subire un’ulteriore tassazione se distribuiti ai soci. Il reddito dei lavoratori autonomi individuali, invece, sconta le imposte in base a specifici scaglioni, mentre è possibile beneficiare della flat tax solo in presenza di alcuni requisiti, fra i quali un volume di ricavi o compensi (non reddito) non superiore ai 65.000 euro (elevati a 85.000 euro secondo la manovra ipotizzata dall’attuale governo). L’argomento principe utilizzato a favore della flat tax è, anzitutto, la semplificazione del sistema fiscale, che genera crescita economica mediante l’innesco di un circolo virtuoso di crescita dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione.
Occorre tenere presente, infatti, che l’Italia è ai primi posti, fra i Paesi Ocse, per pressione fiscale e la combinazione di elevata tassazione e scarsi servizi pubblici favorisce l’evasione, che vede l’Italia detentrice del poco edificante primato di Iva sottratta all’Erario. La flat tax, dunque, dovrebbe incentivare professionisti e imprese a tenere un comportamento più virtuoso. Non mancano, però, argomenti contrari che fanno leva su una serie di possibili squilibri derivanti da tale sistema di prelievo fiscale. Esemplificando, le asimmetrie causate anche dal comportamento assai poco virtuoso di non poche partite Iva che, in prossimità del superamento del limite di ricavi o compensi oltre il quale è inibito l’accesso al regime di favore, “riducono” (evitano di fatturare …) i volumi per restare sottosoglia, così beneficiando di un prelievo ben più vantaggioso. Non solo. Possono verificarsi effetti distorsivi evidentissimi, come risulta dal caso che segue. Il contribuente A (professionista o impresa) ha realizzato ricavi per 65.000 euro. Ipotizzando il coefficiente massimo di redditività previsto dalla norma (78%), con flat tax al 15%, la tassazione ammonta a 7.065 euro. Il contribuente B, invece, con ricavi pari a 300.000 euro e costi per complessivi 249.300, avendo superato la soglia dei 65.000 euro non può scegliere la flat tax e subirà un prelievo Irpef, a parità di reddito (ossia 50.700 euro), di 17.281 euro. La sperequazione a parità di reddito è destinata ad aumentare con coefficienti di redditività più bassi: per alcuni settori è il 40% con tassazione che si riduce addirittura a 3.900 euro (65.000 x 40% = 26.000 x 15%= 3.900 euro). Da considerare anche un altro aspetto: i contribuenti flat tax non devono applicare l’Iva sulle fatture emesse. Pertanto, una prestazione pari a 1.000 euro, se resa da un’impresa senza flat tax costa al consumatore 1.220 euro; se resa, invece, da un soggetto flat tax, 1.000 euro. Risulta più conveniente, dunque, acquistare da chi già gode di un regime fiscale favorevole, oggettivamente avvantaggiato anche dal punto di vista della concorrenza.