di Linda Meoni
marzo 2015
Quando eravamo piccoline in casa vigeva una sorta di terrorismo familiare. Sedevi a tavola e dopo un piatto di pasta o di minestrina in brodo (che ci faceva leccare i baffi), calava una sorta di mistico e complice silenzio tra me e mia sorella: carne, toccava alla carne per secondo. Naturale, in casa di un macellaio cosa poteva esserci nel piatto? Ma il punto non era se o quanto la carne ci piacesse. Il punto era: saremmo riuscite a finirla tutta? Ci pareva quasi di dare un dolore al babbo se non ce l’avessimo fatta. Di colpirlo quasi al cuore. Ma il punto, ancora una volta, non era neppure questo. Era il grasso o il nervo nella carne, ammaccature queste quasi velenose agli occhi di noi bambine, capaci di smontare tutta la bontà che in quegli anni eravamo capaci di mangiare in gran parte solo con gli occhi. Uno spregio alla bellezza di una pietanza, abituati nell’epoca delle merendine (anche se la mamma non ce le comprava mai) a vedere tutto ben confezionato e impeccabile. Mai un difetto, che per quanto minimo sia, compromette la vendibilità del prodotto; perché basta una piega sbagliata alla confezione a volte, per impedirne la commercializzazione. Ci suonava in testa allora la raccomandazione di un uomo di poche parole, il babbo: “Buttare via è peccato. Perché quando si era piccoli noi quel che restava nel piatto di giorno, tornava in tavola la sera”. Ringrazierò sempre queste parole, che unite alla grande abilità in cucina di mia mamma, lontana dal cestino della cucina se non per buttarci bucce e gusci, mi hanno insegnato un profondo rispetto del cibo. E quando si manifesta qualcuno che s’indigna di fronte allo spreco e di fronte a una nuova e inaspettata condizione di bisogno, ecco che mi torna alla mente questa grande e preziosa lezione.
Una lezione che forse un po’ tutti abbiamo bisogno di ricordarci. La riprova è arrivata nei giorni scorsi con la storia di Emanuele Innocenti, ristoratore quarratino, che ha fatto il giro dello stivale. Emanuele apre il suo locale un’ora la mattina, per distribuire cibo gratis a chi è in difficoltà. La molla (e la rabbia) è scattata di fronte all’ennesima scena di anziani costretti a frugare nei cassonetti per riportare a casa qualcosa da mangiare; qualcosa che altri probabilmente avevano buttato per via di quei difetti che l’avrebbero resa immangiabile. La grande risposta che è seguita a questa iniziativa, con messaggi arrivati dalla Svizzera alla Sicilia, dimostra davvero quanto ci sia bisogno di qualcuno capace ancora di non girare la testa di fronte a un’immagine che non vorremmo ci appartenesse. E quanto ancora il cuore di un’Italia semplice, riesca a battere ed emozionarsi, nonostante tutto; nonostante alzarsi col sorriso sia, purtroppo, sempre più difficile.
E allora grazie Emanuele, grazie alla città e all’Italia delle persone semplici.