di Linda Meoni
settembre 2014
I fochi? Stavolta non li ho visti. Ma secondo me, voglio andar sulla fiducia, eran più belli l’anno scorso. Che poi il pubblico si sciolga in un applauso alla fine, come fosse un miracoloso atterraggio di un Boeing 737 Ryanair a dire “anche quest’anno ce l’abbiamo fatta”, poco importa. “Che poi, ma quanto saranno costati i fochi? E si pagan noi, tanto, che credi! Sennò perché ogni giorno arriva una tassa nuova da pagare?”. Già, poi c’era anche il concerto. Chi avranno tirato fuori dal cilindro quest’anno? Eugenio Finardi. “Finardi? No, non lo conosco. Ma perché non portano qualcuno come… chessò, i Modà!”. Potrei perdermelo ogni anno, eppure sono convinta che il copione si ripeterebbe impeccabile ogni volta. Ma la preziosità dell’essere paesano sta in questo: l’essere riconoscibili. Abitudinari, anche. Andare dallo stesso fornaio tutte le mattine e trovare una, dieci facce che ti salutano, dimenarsi coi problemi quotidiani che ci affliggono da sempre. Fare gimkane impossibili tra un bollettino e un F24 qualsiasi.
L’ho capito una volta di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, trasportando le mie cose e la mia vita in una città che non conosco, Bologna. Perché siamo giovani e precari, e il lavoro dei giovani e precari, contempla anche questo, che si possa essere qui o altrove, chiamati a fare qualcosa lontano dal tuo rifugio di sempre, continuando a sentirsi privilegiati per un’opportunità che non tocca a tutti. Inseguendo però sempre e comunque il sogno banale della normalità e della routine; perché poi capisci che tanto banale non è. Sarebbe stato bello anche quest’anno stare con gli occhi all’insù a guardare i botti, mangiare zucchero filato in piazza, vedere una città che ha ancora voglia di essere viva nonostante tutto, nonostante quelle normali gimkane tra i bollettini e gli F24. Si dice panem et circenses, forse tacciando il popolo di un intorpidimento che ormai oggi non gli compete più.
Però a me, sono convinta, i fochi di quest’anno mi sarebbero piaciuti più di ogni altro Settembre. E allora buona, preziosa abitudine a tutti.