di Linda Meoni
marzo 2014
«Ma lei, signor presidente, lei li ha visti tutti que’ nàili su’ fiumi? No perché sennò, signor presidente, que’ nàili e gli si fanno vede’ noi. Viene, si fa un giro e gli si mostra tutto, sa. Ci vol’ poco”».
Tutto cominciò, per ricostruire attualizzando la vicenda, negli anni Cinquanta circa. Quando cioè dall’alto degli scranni (sì, avete letto bene: ho scritto “scranni”) della politica tutto quel che di popolare poteva esser stato detto o scritto, decadeva ufficialmente. Si parlava un’altra lingua insomma. Una lingua che nel paese si conosceva poco. Si caricava il lessico di significati astrusi, lo si gonfiava con termini spesso riconducibili al niente e lo si rendeva in una forma nuova, in una parola nuova, di cui nessuno mai aveva sentito parlare. I politici ci raccontavano che se il popolo non capiva era colpa dell’ignoranza, dell’aver conseguito “solo la terza media”, quando andava bene. Come se in quegli anni non si sapesse che studiare era il vero lusso che pochi potevano permettersi. Poi le famiglie si sono arricciate le maniche, hanno fatto sacrifici per i figli, li hanno mandati a studiare, li hanno spinti perché arrivassero a conquistare quell’agognato pezzo di carta, la laurea, che pareva dovesse spalancar loro le porte del mondo più rosa. Non solo quelle porte oggi si sono solo aperte a malapena scricchiolando, ma quel linguaggio che i “nostri vecchi” allora non capivano, non lo capiamo nemmeno noi che siamo i figli, che siamo quelli che hanno studiato e che pensavano con un pezzo di carta di avere una soluzione “chiavi in mano” per la vita.
Ecco, nell’espressione di quell’uomo che davanti al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, venuto in visita a Quarrata lo scorso 14 febbraio, ha sfoderato un termine come nàili ho rivisto la sintesi di una vita che “parla come mangia”; Quella cioè che vivono quelle persone che le difficoltà le provano ogni giorno sulla loro pelle; che sanno cosa significa aver costruito una casa con anni di fatica e sudore su un argine che oggi rischia di crollare. Sorridi (e sorrideva anche il presidente Rossi) quando qualcuno per dirti di un argine rattoppato ti parla di nàili, indicando quei teli messi a tamponare l’emergenza. Ma poi capisci che di “politichese” in queste questioni non può e non deve esser detto nulla di più. Perché la vera emergenza sono i nàili e non degli “interventi tampone temporanei in attesa che siano sbloccate quelle risorse ferme per il patto di stabilità”. Sintesi, occorre sintesi, in buona sostanza, e rapidità d’intervento. E occorre che il “popolano” finalmente diventi la lingua ufficiale e sostituisca a tutti gli effetti il “politichese”. Chissà che così la gente non si riavvicini davvero alla politica vera, quella che si occupa della città che pulsa. Con la laurea o la terza media in tasca poco importa.