di David Colzi
dicembre 2014
Quella di Fulgenzio Monaco (1912 – 2010) è una storia che ci parla del coraggio e della determinazione degli italiani di un tempo; caratteristiche queste che abbiamo perso col passare delle generazioni. Nativo della provincia di Chieti, arrivò a Quarrata nel 1956, per seguire suo figlio Nicola che aveva lasciato il paese nativo appena 18enne, in cerca di un futuro migliore come muratore in Toscana. Fulgenzio in Abruzzo faceva l’assistente di un ufficiale giudiziario, un lavoro molto prestigioso, ma per riunire la famiglia si trasferì con la moglie e le altre figlie nel nostro territorio, dovendosi adattare a fare il manovale assieme a Nicola.
Dotato di una spiccata mentalità imprenditoria, Fulgenzio intuì ben presto di essersi trasferito in un territorio in pieno boom edilizio, grazie ad un nascente benessere economico. Così negli anni ’70 divenne mediatore e creò un’agenzia immobiliare, che esiste tutt’ora ed è gestita dal nipote David Fratoni. La sua figura distinta, sempre in giacca e cravatta, è associata anche alla politica del nostro Comune: nei primi anni ’70 fu Consigliere comunale nella giunta Amadori, militando nelle file della Democrazia Cristiana. «Lui era un Don Camillo locale» ironizza il nipote Marco. Ma che tipo di politico è stato Fulgenzio Monaco? «Era una persona che si adoperava per gli altri, in particolare per le persone più bisognose.» Lo si poteva trovare spesso in piazza Risorgimento a parlare di politica con chiunque capitasse, prediligendo il confronto con chi non la pensava come lui. «Mio padre aveva un carattere forte, ed era molto orgoglioso:» ci dice il figlio Nicola «pensi che a cinquant’anni prese la licenza di scuola media, frequentando le serali a Quarrata, e fu promosso con il massimo dei voti.» Quella della politica, è da sempre una peculiarità della famiglia Monaco, e probabilmente gli uomini di questa famiglia detengono un record locale: 3 generazioni hanno prestato servizio come Consiglieri Comunali: Fulgenzio, Nicola, e il nipote Enzo.
Quando chiediamo un ultimo ricordo del nonno, Marco Monaco ci dice, visivamente emozionato, che poco prima di morire, Fulgenzio volle piantare due piante di susini abruzzesi coltivati da lui nel giardino della nuova casa del nipote, quasi a ricordagli l’importanza delle proprie radici e delle cose semplici ma vere, come la famiglia: valori questi, che per 98 anni hanno guidato la vita di Fulgenzio Monaco.
Fulgenzio Monaco al fronte.
Fulgenzio, come molti della sua generazione, ha conosciuto in prima persona gli orrori della guerra; iniziò poco più che ventenne con 3 anni di Campagna d’Africa, per poi finire nel bel mezzo dell’invasione della Jugoslavia da parte dell’asse nazi-fascista, la cosiddetta “Guerra d’Aprile” del 1941. In terra straniera fu fatto prigioniero alla fine del ’42 assieme ad una cinquantina di commilitoni, e siccome parlava bene lo slavo, gli venne affidato il compito di portare un messaggio al proprio esercito in cui si chiedeva la resa incondizionata. Naturalmente, una volta portata la missiva e ricevuta la risposta, avrebbe dovuto fare ritorno al campo di prigionia jugoslavo; se si fosse dato alla macchia, i suoi carcerieri avrebbero fucilato tutti i suoi compagni, come avevano già fatto con gli ufficiali di reparto; se invece fosse rientrato, gli era stata promessa la liberazione sua e degli altri soldati. Voi cosa avreste fatto al suo posto? Fulgenzio non ci pensò due volte e dopo la risposta negativa del nostro esercito tornò indietro, e finalmente, dopo diversi giorni di contrattazione, tutto il battaglione venne liberato. Purtroppo per lui, questo gesto di altruismo e coraggio venne male interpretato dai suoi superiori che pensarono ad un atto di diserzione e spiccarono un mandato di cattura: Fulgenzio fu allora costretto a scappare per davvero, trovando rifugio in una famiglia del luogo. La latitanza durò poco e alla fine si consegnò per essere processato; per fortuna i suoi compagni raccontarono tutta la vicenda e invece della galera (o peggio), il giovane Monaco ricevette una medaglia al valore, la Croce d’oro. Rimpatriato in Italia a marzo del ’43, e dopo pochissimo congedo come premio, ripartì per Bari dove l’attendeva la partenza per il fronte russo, ma per fortuna un Capitano lo prese sotto la sua ala, facendolo diventare suo attendente, per risparmiargli questa ennesima brutta esperienza. A chiudere definitivamente il capitolo guerra ci pensarono, di lì a poco, gli americani con lo sbarco in Italia.