di Marco Bagnoli
settembre 2008
Nasce a Ravenna nel 1853, nobile. La madre, Letizia Rasponi Murat è figlia del conte Giulio Rasponi e della principessa Luisa Giulia Murat, figlia di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte. Suo padre, Cesare Rasponi Bonanzi, diviene prima vice-console di Francia, quindi deputato nel Governo Lanza e nel Depretis I, per essere infine nominato Senatore del Regno d’Italia nel 1884.
Gabriella è appena diciassettenne quando nel 1870 sposa Venceslao Spalleti Trivelli, nobile reggiano di idee moderate e liberali; si trasferisce quindi presso la residenza di Reggio Emilia per poi seguire il consorte a Roma, al momento della sua elezione a deputato del Regno d’Italia, cui fa seguito la nomina a Senatore. Nel 1871 viene alla luce il primo dei suoi tre figli, Maria Luisa, Carolina e Cesare. La sua condizione di ricca privilegiata è illuminata da una profonda umanità. Il suo salotto romano le consente infatti di intrecciare quelle relazioni intellettuali che ne faranno un centro culturale di rilievo. Un nome su tutti, tra le numerose personalità che si resero suoi appassionati frequentatori: Marco Minghetti, uomo politico di estrazione largo – borghese di idee liberali; si attivò in una petizione che indirizzasse il Conclave del giugno 1846 verso l’elezione di un pontefice favorevole ad un riformismo moderato – liberale, Pio IX, ritenuto giustappunto di tali simpatie. La fortuna del Minghetti coincide con la pubblicazione, nel 1881, della sua opera “I partiti politici e l’ingerenza loro nella Giustizia e nell’Amministrazione”.
Nell’ultimo scorcio del secolo si manifesta un radicale mutamento nell’esistenza della Contessa: i suoi interessi si discostano dalle strette pertinenze culturali, nonostante un tema allora fortemente dibattuto fosse appunto la questione della lingua per come l’aveva presentata Alessandro Manzoni: una lingua rivolta alla gente e in funzione di una letteratura che fosse letta dalla gente. La Rasponi Spalletti avverte l’urgenza di dedicarsi direttamente alle necessità della popolazione. Nel 1897 destina quindi la dimora Spalletti di Lucciano alla fondazione di una scuola di ricamo a filet, con l’obiettivo di risollevare non tanto la tradizione di un’antica abilità artigianale, quanto piuttosto la condizione delle donne lavoratrici. Sono questi gli anni in cui il cappellano di Vignole, Don Dario Flori, detto “Sbarra” si mobilita contro lo sfruttamento delle lavoratrici delle treccia di paglia; la Contessa mette nero su bianco questa nuova dignità delle donne e impone per loro un regolare versamento dei contributi assicurativi, base fondamentale per avere il diritto alla pensione.
La scuola passa quindi dalle cinque allieve della sua fondazione alle oltre cinquecento del 1911 ed estende la propria attività presso le nuove sedi di Montorio, Silvione e del “Cantinone” Baldi di Quarrata. Fioccano da subito i diplomi e le medaglie d’onore, per arrivare al Gran Premio d’Onore nell’Esposizione Universale di St. Louis del 1904. La Contessa, rimasta vedova nel 1899, è circondata dalla riconoscenza e dall’affetto delle donne del filet, che nell’assemblea generale delle lavoranti del 26 ottobre 1924 decidono all’unanimità che la scuola assumesse la denominazione di “Scuola di Modano e Ricamo contessa Gabriella Spalletti Lucciano – Quarrata”.
All’epoca ha già assunto la carica di presidenza del Consiglio Nazionale Donne Italiane, il corrispondente dell’International Council Women costituito nel 1888 per volontà dell’attivista americana May Wright Sewall. L’impegno civile della Contessa la porta in prima linea col suo Comitato di Sostegno alle vittime del terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, debitamente riconosciuto e patrocinato dalla Regina Elena, che conferì alla Contessa l’incarico ufficiale di tutrice per i minori, prima donna ad esserne investita. La sua attenzione per le esigenze degli altri la condussero alla maturazione di principi e convinzioni sempre più elevati e assoluti; nel sostegno al consolidamento di un’istruzione laica, per esempio, ma anche alla definitiva affermazione di un suffragio elettorale universale, all’epoca prerogativa dei soli uomini. Trentacinque anni dopo la sua morte, avvenuta il 30 settembre del 1931, le lavoranti ormai anziane della scuola da lei istituita fecero erigere, a proprie spese, la vasca di pietra tuttora collocata nella piazza della Chiesa di Lucciano. In una lettera indirizzata al figlio spiegava le motivazioni profonde del proprio agire: “non vale la pena essere una super-donna”, scriveva la Contessa, se non ci si preoccupa degli altri,“soprattutto i più malcapitati, per comprenderli, per rallegrarli, per sollevarli”.