Gli “Amici Miei” del Bar Lomi

Gli “Amici Miei” del Bar Lomi

di Luciano Tempestini

dicembre 2020

Mentre mi accingo a scrivere gli episodi goliardici che state per leggere, mi sovviene un dubbio: quale sarebbe la reazione oggi, a questi scherzi? Un dubbio legittimo, dato che alcuni di essi andarono un pochino oltre il consentito.

Ci troviamo a Quarrata, fra il 1976 e il 1980, in un luogo preciso, il bar Lomi, situato in via Torino e ritrovo dei protagonisti di questa storia; una storia fatta di aneddoti e situazioni surreali. In protagonisti sono ragazzi fra i venti e i trent’anni: Andrea Rossetti, Luigi Bassani, Luciano Bresci, Claudio Bresci, i fratelli Gori – Massimo e Stefano, i fratelli Presi – Tiziano e Roberto (detto “Scenza”, senza la “i”), Claudio Giuntini (detto “il Barone”), Luciano Tempestini e il titolare del bar, Arialdo Lomi. Il bar era il punto di partenza per gli scherzi, ma talvolta diventava esso stesso il teatro di qualche burla. Per la riuscita di diverse mascalzonate, fondamentale era stata l’apertura nel ’75 del negozio-magazzino “L’America”, fondamentale per reperimento di gadget e abiti di scena, il cui titolare Claudio Bresci, era per l’appunto uno di quei ragazzacci. 

I Vecchi “sudici”

Il bar Lomi non aveva stanze adibite al gioco delle carte, ma possedeva soltanto un paio di tavoli davanti al bancone, ed era molto difficile trovarli liberi, perché spesso gli anziani del luogo si sedevano lì per ore a fare le “partitelle”, rendendo perciò insofferenti i giovani che non riuscivano quasi mai a farsi un giro di briscola. Una sera i nostri ragazzi persero la pazienza e decisero di far sloggiare i nonnetti una volta per tutte; così, andarono da “L’America”, e presero alcune fialette puzzolenti, di quelle che si usavano per Carnevale, e le gettarono di nascosto sotto le sedie dei giocatori. Non appena queste si ruppero, le esalazioni riempirono l’aria e i nonni iniziarono ad accusarsi a vicenda, cercando chi fra loro, l’“avesse mollata”. A rincarare la dose, il titolare del bar (complice dello scherzo) iniziò a brontolarli, invitandoli ad avere un minimo di contegno, perché si trovavano in un luogo pubblico. Alla fine i giocatori, vergognandosi, uscirono dal bar con la coda fra le gambe e i giovani presero finalmente possesso dei tavoli.

La gita dei matti

In un giorno di novembre del 1977, Claudio Bresci invitò i suoi amici del bar a vedere la nuova collezione di costumi per il Carnevale. I ragazzi, per gioco, iniziarono a provarseli e ad un certo punto a qualcuno venne l’idea di andare così conciati a Firenze, per prendere un gelato da Vivoli, un’antica rinomatissima gelateria, collocata nel centro storico della città. Gli abiti erano i più disparati: c’era chi aveva la divisa militare, chi era vestito da antico romano, chi da scozzese col Kilt, e addirittura qualcuno come mise, aveva il Frac. Solo Claudio Giuntini, “il Barone”, rimase in borghese e il motivo era semplice: secondo lo scherzo, lui doveva fare l’accompagnatore di questa compagnia di matti, momentaneamente in libera uscita dal manicomio lucchese di Maggiano. Arrivati a Firenze, la comitiva composta da 11 persone, parcheggiò le auto in piazza della Repubblica (allora si poteva…) e si incamminò lungo i marciapiedi del centro storico, attirando l’inevitabile curiosità dei passanti, molti dei quali si scansavano, altri addirittura si spostavano dall’altra parte della strada. A impressionare ancor più i fiorentini, le parole pronunciate a voce alta da Claudio Giuntini che intimava il gruppo a stare calmi e a camminare composti in fila per due. Arrivati da Vivoli, “il Barone” entrò da solo in gelateria e, rivolgendosi alla cassiera, chiese dieci gelati da cento lire ciascuno, dicendole che erano per i ragazzi di Maggiano, che attendevano fuori, fra gridolini e gesti poco razionali. La signora inizialmente fece notare che la tariffa minima per un cono era di 150 lire, ma vedendo la “qualità” della comitiva e che Giuntini aveva solo 1000 lire a disposizione, decise presto di accontentarlo, purché si allontanasse col resto degli avventori, e offrì addirittura a lui un gelato in omaggio.

Aiuto, il Ku Klux Klan!

In un tardo pomeriggio di giugno tre ragazzi della comitiva, annoiati, decisero di uscire dal bar Lomi, per andare a trovare il Bresci a “L’America”. Qui videro esposte 3 tuniche nere in stile Ku Klux Klan e pensarono bene di provarsele. Una volta indossate, non paghi, si incamminarono in fila indiana verso il bar, fermandosi poi in un angolo fra via Torino e via Tintoretto. Qui iniziarono a far finta di nascondersi, come se scappassero dalle forze dell’ordine… oppure come se cercassero un nascondiglio per aggredire qualcuno. Fu tale l’impressione che generarono nel vicinato che un commerciante della zona uscì dal suo negozio imbracciando un fucile, dopo aver allertato i Carabinieri di Quarrata. I tre burloni, accorgendosi di averla fatta un po’ grossa, si rifugiarono nel bar Lomi e, dopo essersi tolte le tuniche, ordinarono un aperitivo come se niente fosse. Sopraggiunta sul luogo la pattuglia dei Carabinieri, iniziarono le ricerche degli incappucciati. Dopo aver parlato con il commerciante che gli aveva avvertiti, gli uomini dell’Arma entrarono nel bar e, casualmente, interrogarono proprio i tre amici, i quali dissero, chiaramente, di non aver visto nulla. La sera stessa, quando tutto il gruppo si riunì al bar, gli aneddoti si sprecarono, ingigantendo ancor più l’accaduto. Alcuni lettori che erano nei paraggi allora, scopriranno la verità di quell’episodio solo adesso, dato che all’epoca ebbe una certa risonanza a livello locale.

L’arresto

Data l’entità di certi scherzi, non era irragionevole pensare che prima o poi qualcuno sarebbe stato arrestato. Per fortuna non accadde mai, ma questa eventualità diede il via ad un nuovo scherzo, stavolta ai danni del povero Arialdo Lomi. Una sera d’estate al bar arrivò una telefonata proveniente dall’ipotetico comando dei carabinieri di Prato. All’altro capo del telefono c’era Luigi Bassani che, con un forte accento meridionale, informava il signor Lomi che erano stati fermati 4 avventori del suo bar e chiedeva all’uomo di garantire l’onestà di quei ragazzi, altrimenti non sarebbero stati rilasciati. Arialdo si sprecò in complimenti e attestazioni di stima, spiegando con convinzione che erano giovani perbene. Il “comandante” chiese allora a Lomi di andare di persona al comando a garantire per loro, cosa che lui fece, partendo in fretta e furia in macchina. Per fortuna i burloni ebbero pietà di lui e lo fermarono dopo un centinaio di metri, spiegandogli il tutto e beccandosi gli improperi del titolare del bar.

Visto quanto scritto, e altro ci sarebbe ancora da dire, si capisce come mai nel 1975, Mario Monicelli realizzò il film “Amici miei”. Quelli erano anni in cui con poco ci si divertiva, bastava stare fra amici, anche se talvolta si superava il limite. D’altronde così si comportavano anche il Mascetti, il Perozzi e gli altri compagni delle “zingarate”.

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