di David Colzi
dicembre 2018
La storia di Dea Mantellassi, nota imprenditrice quarratina nel settore della biancheria, si è intrecciata per un periodo con quella della famiglia Lenzi, e oggi lei ha deciso di ricordare con noi quel periodo della sua vita, dopo aver letto il nostro libro sui dieci anni di Noidiqua in cui sono contenute foto dell’archivio personale Lenzi.
Questa storia inizia il 2 febbraio del 1957 in un luogo ben preciso, il Cinema Moderno, in occasione del veglione di carnevale organizzato da Arzelio Belli. In questo contesto conviviale, fra musica, balli e risate, due ragazzi si incontrano e si piacciono: lui è Guido Lenzi, figlio minore di Nello, lei è la nostra Dea. Ma lei già lo conosceva? «No, sapevo naturalmente che era uno dei Lenzi, ma niente più». Sette mesi dopo i due si fidanzarono ufficialmente. Quindi la signora Mantellassi entrò nella vita di questa famiglia dalla porta principale, in un periodo in cui la loro attività imprenditoriale era ai massimi livelli.
Come si viveva nella famiglia Lenzi?
«All’epoca di Nello era una famiglia normale, a dispetto di quel che si poteva percepire da fuori» dice Dea. «Gente semplice, che naturalmente era completamente votata al lavoro e alla loro fabbrica che aveva centinaia di operai».
Nello era un imprenditore di successo: cosa ha imparato standogli vicino?
«L’onestà e la serietà sul lavoro. Poi mi ha insegnato l’importanza di avere un rapporto diretto con i propri dipendenti».
Cosa ricorda della moglie Mosella?
«Era una donna generosa che si occupava anche degli altri; ricordo ad esempio che ogni Natale donava vestiti ai bisognosi attraverso l’opera dell’associazione della Dame di San Vincenzo».
Lei ha avuto modo di conoscere anche il fondatore dell’impero Lenzi, “Fonzino”…
«Per poco più di un anno, prima che venisse a mancare. Lo ricordo come un nonnino delizioso, a cui piaceva scherzare».
E com’erano i figli, Guido e Luigi?
«Avevano indubbiamente due personalità opposte; secondo me Guido aveva ereditato il carattere diplomatico del padre, mentre Luigi quello della madre che era una persona buona, ma diceva sempre quel che pensava, senza mandarle a dire dietro».
Nello specifico Guido che ragazzo era?
«Era un giovanotto sempre allegro, solare e, come la madre, molto generoso: pensi che ogni giorno, dopo pranzo, andava al bar per fare una partita a carte con i vecchietti ospiti del Caselli e si sforzava sempre di perdere per fargli vincere il caffè messo in palio».
La storia di Guido e Dea andò avanti negli anni facendosi scudo anche dei “chiacchiericci” di paese, immancabili dato che uno dei due ragazzi era un rampollo della casata dei Lenzi, in un momento storico in cui, come si usa dire: «i Lenzi erano i Lenzi». Purtroppo l’epilogo di questa storia è noto ed anche in questo caso c’è una data certa, il 4 novembre del 1961, giorno in cui Guido Lenzi, a soli 22 anni, perse la vita in un incidente d’auto mortale assieme a Graziano Mammini, il giovane che gli sedeva accanto.
Difficile immaginare il dolore…
«Per me fu un incubo» ricorda Dea «ma il colpo più duro fu per la madre; non a caso fu lei a volere il parco monumentale a Bottegone dove avvenne l’incidente, perché non si perdesse mai il ricordo del figlio».
Tutto reso pubblico, in una famiglia già così in vista.
«Vero. Io sono una persona più riservata nei sentimenti, ma ho rispettato il volere di Mosella e oggi da mamma capisco ancora di più il suo dolore».
Siete rimaste in contatto anche dopo?
«Ho continuato a vedere Mosella negli anni, perché si era creato un bel rapporto fra noi. Con la sua morte nel 1967, smisi di frequentare la casa dei Lenzi, anche se sono rimasta sempre in contatto con Franca, la figlia di Luigi».