di Serena Michelozzi
giugno 2017
Con l’irruento incombere nelle nostre vite del consumismo insegnatoci dal sistema capitalistico, la comunità umana tiene in maggior considerazione le questioni imminenti trascurando l’importanza sul lungo termine di quelle in prospettiva: questa è la fast-life, in cui le faccende riguardanti il pianeta che ci ospita e le sue risorse hanno una rilevanza minima e vengono molto spesso trascurate. Ricercatori ed esperti concordano sul fatto che entro la fine di questo secolo ne pagheremo le conseguenze come specie; chi ce lo dice?
La spazzatura, in particolar modo quella high-tech costituita da oggetti tecnologici quali computer, cellulari, televisioni e via dicendo. Il pianeta che ci ospita, ha circa cinque miliardi di anni e nel corso di questo lungo lasso di tempo tutte le specie viventi sono riuscite a stabilire sia un rapporto di equità sostenibile nei confronti dell’assioma “consumo-riproduzione” delle risorse, sia un equilibrio stabile tra l’ambiente e le specie che lo popolano. In natura ogni composto organico viene riciclato dalla natura stessa e trasformato con nuova funzione in nuova vita, così che il concetto di rifiuto è inesistente: qualsiasi risorsa consumata trova nuova linfa attraverso un processo ciclico di autoriproduzione privo di principio e termine, ma con numerose tappe di infinito rinnovamento. Tale perfetto equilibrio alchemico viene però ostacolato dall’uomo, che solitamente ha l’inclinazione di sbarazzarsi “a casaccio” di quanto ha consumato. Soprattutto con il boom tecnologico degli anni Settanta e la conseguente diffusione su scala globale degli apparecchi ad alta tecnologia viene a crearsi appunto la spazzatura high-tech, composta da rifiuti chimici ed inorganici, un tempo appartenenti a materiale tecnologico, riciclabili solo dall’uomo e non dalla natura che non li ha creati.
I moderni paesi sviluppati scaricano in massa valanghe di rifiuti tecnologici sulle coste dei paesi del terzo mondo, come quelli del sud est asiatico e dell’Africa occidentale. L’incremento della rapidità con cui la mole di questi rifiuti inorganici è smaltita, risulta essere inquietante a tal punto da portare gli esperti a pensare che entro la fine del prossimo secolo, il mondo sarà una sorta di pianeta pattumiera composto da una parte, da vere e proprie “città spazzatura”, e dall’altra, da pochi angoli vivibili più ricchi e sviluppati. Nei paesi “discarica” la concentrazione nell’aria di materie chimiche nocive è talmente alta da avvelenare le popolazioni locali: i bambini che ci vivono crescono con diminuite capacità di apprendimento e motorie, nonché grande predisposizione verso i tumori. Eppure così come madre natura ricicla le proprie risorse, anche i rifiuti high-tech potrebbero essere riciclati in modo intelligente dall’uomo, al fine di dare impulso al nostro rinnovamento come specie nonché a quello del nostro pianeta.
V’è però da dire che qualcosa per adesso è stato comunque fatto: il decreto legislativo “Vuoto a rendere” per la spazzatura hi-tech recepisce tre diverse normative europee in materia per questo tipo di rifiuti e regolamenta il corretto smaltimento di un’ampia gamma di oggetti elettronici. A carico del distributore vi è l’obbligo di ritirare “gratuitamente la vecchia apparecchiatura al momento della consegna di una nuova”. Per quanto riguarda gli impianti di trattamento, questi dovranno raggiungere obiettivi di riciclaggio e recupero differenziati a seconda delle categorie di prodotto nonché seguire norme tecniche che garantiscano l’ambiente.
L’impulso al cambiamento e al miglioramento dovrebbe partire da noi giovani, che, abili intenditori della moderna tecnologia, dovremmo, al di là del saperla utilizzare, imparare a smaltirla affinché non corroda l’equilibrio del nostro pianeta e della nostra natura. Un’accurata “educazione ecologica” e una maggiore sensibilità verso l’ambiente che ci circonda, se messe in pratica da ognuno di noi, nel nostro piccolo, sarebbero già un grandissimo passo in avanti per un futuro più eco-sostenibile.