di Massimo Cappelli
marzo 2021
Una decina di anni fa, quando mio figlio Matteo faceva ancora le elementari, la sua scuola, al fine di informare i ragazzi sul problema del doping nello sport, partecipò ad un concorso letterario, dove i ragazzi, aiutati dai genitori visto l’argomento presumibilmente a loro sconosciuto, dovevano comporre un tema partendo da un incipit fornito dall’organizzazione. Il componimento doveva completare una storia il cui inizio, uguale per tutti, parlava dell’espulsione per doping da un fantomatico giro d’Italia, di Duccio, il fratello maggiore di Valerio, che noi faremo diventare il protagonista. Come scoprirete leggendo venne fuori un bel racconto, non solo per merito nostro, ma soprattutto perché da poco tempo, grazie a Loretta Cafissi Fabbri (che per anni ha curato sul nostro giornale la rubrica di ricette), avevo conosciuto Alfredo Martini, lo storico commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, il quale mi fece delle rivelazioni che usai per tessere la trama della narrazione. Il nostro lavoro purtroppo non fu scelto, e di conseguenza non fummo ammessi al concorso; dopo tanti anni però mi prendo la rivincita e lo pubblico su NoiDiQua. Senza voler peccare di presunzione sono convinto che questo Concludendo, anche se un po’ diverso, vi piacerà.
Il Doping
“La maglia rosa questa mattina non ha preso il via” annunciò la televisione, appena il nonno l’accese. Così. Dieci parole che mi si piantarono nel cuore come coltelli, una dopo l’altra, e che non mi tirerò mai via. La maglia rosa era mio fratello Duccio. «Valerio, perché Duccio non è partito?» Mi chiese Tobia, il mio miglior amico. Anche Bianca mi puntò addosso due occhi a forma di punto interrogativo, ma io più che alzare le spalle, non sapevo fare. Perché non era partito? Se mio fratello avesse respinto gli attacchi in quella tappa terribile, piena di salite, avrebbe portato la maglia rosa fino alla fine, a Milano, e avrebbe vinto il Giro a soli 21 anni, e noi tutti lo avremmo raggiunto all’arrivo per festeggiare. Una favola! E invece la televisione mostrò le immagini di Duccio che saliva su un’auto dei Carabinieri, e spiegava che era stato sospeso dalla corsa dopo un controllo anti-doping. In un attimo, la vita della mia famiglia slittò come un tubolare sull’asfalto bagnato e si capovolse: dalla favola. All’incubo. Sapevo che i giornali avrebbero trasformato Duccio, il fratello che adoravo, in un mostro. E poi papà, che non aveva mai amato il ciclismo, dopo questa storia, sicuramente mi avrebbe impedito di fare ancora gare. Neppure nonno Tino, che da giovane ha corso qualche giro d’Italia, avrebbe potuto aiutarmi.
La sera stessa Duccio telefonò a suo fratello Valerio e gli raccontò che quel pomeriggio, al ritorno dal commissario federale, salutato il suo capitano, il direttore di gara e il suo commissario tecnico, andò a riposare nella sua stanza di albergo. Sul letto pensava a quando, mesi prima, era stato imbroccato da quelle persone, e a ciò che gli avevano riferito: se voleva vincere e al contempo fare vita mondana e divertirsi in discoteca, doveva prendere quella roba, anche perché tutti nell’ambiente la prendevano e se lui non si fosse dopato sarebbe stato molto svantaggiato. Inoltre dicevano anche che erano sostanze non visibili in caso di analisi.
Si appisolò, e dormendo sognò nonno Tino. Nel sogno il nonno gli ripeteva il racconto che da piccoli lui e suo fratello gli chiedevano continuamente; quello stesso racconto che aveva contribuito a far nascere in loro la passione per il ciclismo: “Ricordo una gara di moltissimi anni fa: quando ero nella squadra del grande Fausto, ero in preda ad una brutta crisi e il capitano mi chiese una borraccia d’acqua. Essendo un suo gregario era mio dovere accontentare ogni sua richiesta. Conoscevo una fontana nei paraggi e nonostante la crisi mi accinsi ad andare a riempire le borracce. Non ce la feci, anche se la testa voleva andare, le gambe non rispondevano più. Mi ritrovai triste e sconsolato in coda alla corsa, pedalando piano piano a testa bassa proprio davanti all’ambulanza. Ad un tratto, vidi Fausto venirmi incontro nel senso inverso della corsa, con una borraccia piena di acqua fresca anche per me. Era il mio capitano che portava acqua fresca… proprio a me. Ecco, ragazzi, questo è il ciclismo: il più semplice e il più nobile fra gli sport, fatto di tanta generosità e di tantissima fatica, ma anche di tanto altruismo, di lealtà e di solidarietà, sia con i compagni che con gli avversari”. Duccio si svegliò di colpo piangendo e pensando a come avrebbe fatto in futuro a guardare negli occhi suo nonno, suo padre, sua madre, il fratello, gli amici e tutta la gente in paese. Con quel suo comportamento irresponsabile aveva deluso tutti. L’indomani sarebbe ripartito per casa e avrebbe dovuto affrontare tutti, la famiglia e il resto.
Il taxi lo fermò proprio davanti al cancelletto del giardino, la prima ad accorgersi del suo arrivo fu Mya, la simpatica maltesina che da tre anni faceva parte della famiglia, Mya iniziò ad abbaiare comunicando a tutti che Duccio era tornato a casa. Appoggiò per terra il bagaglio, prese in braccio la canina e vide il portone di casa aprirsi. Mamma gli si buttò al collo baciandolo piangendo, poi entrò in casa. Nonno Tino e Valerio erano, rispettivamente, sulla sua sedia di sempre, e il secondo in piedi, al suo fianco, a testa bassa. Suo padre non si era ancora fatto vedere. Il nonno, guardandolo di traverso, facendo teneramente gli occhiacci e agitando bonariamente il suo bastone verso Duccio, esortò: «Non ti ho mica insegnato così… io». A queste parole, il papà, scendendo dalle scale e puntando il dito verso di lui, a voce sbraitante che rimbombava in tutta la stanza e sembrava ti entrasse non dalle orecchie ma direttamente dalle tempie, esclamò: «Cosa ti sembra di aver fatto? Eh? Se prima eravamo solo noi di famiglia a sapere quanto sei stupido, adesso, dai giornali, lo sa tutta la nazione. Quando io ti dicevo di lasciar perdere il ciclismo e di seguire scienze politiche avevo ragione. Adesso invece, il tuo comportamento sicuramente avrà ripercussioni anche sulla mia carriera. Sei contento adesso, campione?»
La mamma esortò tutti ad andare a tavola dato che il pranzo era pronto. Nel frattempo arrivarono anche gli unici due invitati: gli amici di sempre, Bianca e Tobia. Il nonno a capotavola e tutti gli altri al loro posto aspettavano, in silenzio, che la mamma servisse la prima portata. Il silenzio fu interrotto da nonno Tino, che rivolgendosi a suo figlio, disse: «Non ti permettere mai più di rivolgerti così al tuo figliolo. Devi sapere che quando una persona ha sbagliato, vuol dire che, perlomeno, qualcosa ha fatto. Molte persone agiscono e sbagliano, e lo sbaglio deve essere un insegnamento per non sbagliare di nuovo. Io avrei sempre voluto che tu avessi preso la mia strada e la mia passione, facendo del ciclismo la tua professione. Per la tua grande paura della competizione non hai mai voluto correre in bicicletta, perché tu devi sempre vincere, solo vincere, vincere per forza! Però senza confrontarti e senza soffrire. È per questo che hai scelto la carriera politica».Tutti iniziarono a mangiare in silenzio. Mya passò da tutti alzandosi sulle due zampe posteriori, e strisciando una zampina anteriore sulla gamba di Duccio chiese un po’ di pane.
Dopo aver soddisfatto lo sfizio della canina, Duccio si alzò in piedi e disse: «Io chiedo scusa a tutti, perché con il mio comportamento ho offeso non solo uno sport nobile come il ciclismo, ma ho tradito tutti voi che mi siete da sempre stati vicini. Vorrei però farvi capire che tutto il mondo dello sport è inquinato. Tutto lo sport è diventato una macchina da soldi, esso viene strumentalizzato da persone senza scrupoli. In alcuni ambiti per “ripulire” denaro nero e in altri per fare da mercato a sostanze illecite che creano tanto business agli aguzzini. Poi le scommesse, tutto quello che è venuto sui giornali, e quello che deve ancora venir fuori. Poi, piangendo, proseguì ancora. «Io ho sbagliato, e credo che la mia scelta più saggia sia quella di ritirarmi. Non posso però abbandonare questo sport meraviglioso, per cui vorrei fare il preparatore a Valerio; lui è cinque anni più giovane di me e vorrei seguirlo insegnandogli tutto ciò che io ho imparato per portarlo al livello che ho raggiunto io. E sono sicuro che arriverà più in alto di me».Tutti rimasero stupiti da queste parole, anche la canina non chiese più pane e sembrava essere stata coinvolta da quello che aveva detto Duccio.
Soltanto il padre si stava abbuffando, da solo, sull’ottimo coniglio in umido preparato dalla moglie, ma venne richiamato da nonno Tino: «Ehi tu, lo hai sentito tuo figlio, o stai solo pensando a mangiare? Ha detto tante cose belle. Vedete, la vita, è un po’ come una corsa in bicicletta, in essa ci sono salite e discese, e quando ci arrampichiamo su di una salita, soffriamo, ma ci allieta il pensiero che presto ci sarà la discesa. Duccio adesso si trova nel pieno della salita ma il suo pensiero è rivolto alla discesa, questa discesa si chiama Valerio. Sono convinto che con suo fratello accanto, anche Valerio sentirà meno la fatica nelle salite che affronterà, e questo lo farà arrivare molto lontano».
Qualche anno dopo.
“Ma ecco che il gruppetto di testa entra sugli Champs Élysées” annuncia il telecronista, “anche la maglia gialla è in quel gruppo e questo conferma la sua posizione facendogli vincere questo Tour de France. Ecco che la telecamera inquadra il manager e preparatore del vincitore del Tour, suo fratello Duccio, coinvolto, qualche anno fa, in uno scandalo relativo al doping, dopo il quale si ritirò dalle gare”. Bianca, in un albergo lì vicino, davanti alla televisione, con il suo bambino in braccio, piange commossa. Sa che fra poco, il suo Valerio, dopo le consuetudini, le interviste e tutto il resto, la chiamerà. E più tardi potrà abbracciarlo. L’incubo è finito e… la favola continua. Peccato che nonno Tino non possa godere di questa vittoria: da qualche anno se n’è andato, era vicino al traguardo dei cento anni, purtroppo, però, non è riuscito a tirare a fondo la volata. A Bianca viene in mente il giorno del suo matrimonio, quando il nonno le sussurrò all’orecchio: «Siete una coppia perfetta, perché tu ti chiami Bianca e diventerai la sua sposa, la sua “dama”, e lui diventerà un campione del ciclismo. Anch’io, molti anni fa, ho conosciuto un grande campione che aveva la sua Dama… Bianca».
Immagine orizzontale: Alfredo Fabbri ,“Cicloamatori”, litografia anni ’80.
Foto in bianco e nero: Alfredo Martini, storico C.T. della Nazionale italiana di ciclismo.