di Marco Bagnoli
dicembre 2020
Sopra i muri e i palazzi di tutta Italia siamo ormai soliti leggere che “andrà tutto bene”. E magari si chiamano in causa pure i cantautori, come al semaforo degli Olmi, dove Franco Battiato avrà cura di noi. Ma ci sono anche altre scritte, che si credevano cancellate dal tempo, e al limite dalla Storia, che alle volte riaffiorano, e restano ancora attorno a noi. Proprio come a Olmi, sempre lì, dove a un tiro di schioppo dalle parole de “La cura” appena ricordate, un’altra frase fa l’occhiolino, che sembra ancora vispo, dopo tanti e tanti anni. A sforzarsi si fa comunque fatica, ma le parole, come quelle di un vinile di Gassman, mangiato dai ripetuti ascolti, quelle che ancora si stagliano in maiuscolo ci rammentano che “E’ l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”. Queste parole possono rievocare in qualcuno il libro di storia delle superiori, e a quelli che le superiori le stanno facendo oggi va a finire che dicono ancora di meno. È per questo che ci siamo rivolti a qualcuno che a scuola ci è andato proprio allora, anzi, subito dopo che quelle scritte così stampate non erano ancora dissolte dall’inclemenza degli elementi, ma dalla precisa volontà di toglierle dalla pubblica vista, con una mano di vernice, all’epoca il minimo richiesto dopo la catastrofe della guerra.
Giuliano Palandri è nato nel 1941, a Vignole, dove risiede tutt’ora. Ultimo di cinque figli, ci accompagna a visitare l’edificio della vecchia scuola, proprio di fronte all’edicola di Olmi. Assieme a lui cerchiamo di decifrare la scritta, e in un attimo l’inconfondibile eloquenza della propaganda torna a liberarsi nell’aria fresca di un giorno di sole. Il primo ad accorgersi di un qualcosa che in molti sapevano, e a molti altri non sembrava affatto strano, è stato proprio il titolare dell’edicola, Leonardo Donati, da noi già amabilmente censito nel numero di settembre del 2015 col titolo di “Il fotografo dei luoghi dismessi”: suo è il fotomontaggio che svela la scritta adesso sfuggente. Finita la guerra, dopo una prima sede accomodata con dei separé di cartone pressato presso il teatro di Vignole, era questa la scuola dove si recavano i bambini del circondario. Quando la frequentava Giuliano doveva essere il 1947 all’incirca. Erano tre classi, una al piano superiore e due al piano terra, una decina gli alunni nella stanza più piccola, circa venti nella più grande. E allora si stava un po’ pigiati, qualcosa che sembra anticipare le classi-pollaio di pochissimo tempo fa, che adesso magari rimpiangiamo, e che cozza totalmente con l’attuale situazione condizionata dal Covid – e sempre ammesso che in classe ci si vada ancora. Un maestro per classe, quello di Giuliano si chiamava Oscar Scartabelli, di Pistoia, dalla quale proveniva ogni mattina in autobus; Giuliano rammenta ancora le sue mezze nazionali senza filtro, fumate col bocchino, chissà, magari anche durante la lezione… Anni dopo i due si sarebbero rincontrati, rivelandosi reciprocamente degli accaniti giocatori di carte. E anche il gioco delle carte te lo saluto, di questi tempi… Un solo maestro per tutto, italiano, storia, matematica – e il solo supporto digitale era il pennino da intingere nel calamaio dell’inchiostro. Tutte le mattine, chi poteva, si presentava a scuola con una fascina sotto il braccio, e chi non l’aveva era segno che era estate, oppure che non aveva nemmeno quella. Poi alle dieci, all’ora della merenda, si accendeva il fuoco nel camino, per riscaldarsi un po’. E di nuovo, chi aveva una mela se la mangiava, gli altri niente – anche se magari c’erano delle ballotte della sera prima, o magari una fetta di pane con l’olio rinvolta nella carta oleata: e questa carta non la si buttava, ma la si conservava a futuro utilizzo.
Giuliano frequenta la scuola fino al 1953, quando venne chiusa per inaugurare quella nuova, nel ’54, a Vignole. Quelle vecchie stanze furono poi trasformate in magazzino nel 1974 dal titolare della mesticheria di Olmi, Delfo Turi, il padre di Gianpaolo, l’attuale proprietario. E le scritte sul muro? C’erano anche allora, ci dice Giuliano, solo che erano ben nascoste, perché la gente si vergognava, sintetizza lui, e forse non sbaglia di molto; ce n’erano molte prima, un po’ dappertutto. Qualcuna di quelle frasi possono talvolta suscitare un sorriso, per il modo col quale vanno in cerca della rima a tutti i costi, come per esempio: “Libro e moschetto fascista perfetto”. Ma basta rifletterci un attimo per rendersi conto che in quell’andamento da filastrocca si cela un meccanismo che puntava a introiettare il concetto della violenza – anzi, della normalità, della assoluta naturalità della violenza – nella testa dei più. Magari proprio dei più indifesi, come i bambini. Invece oggi sappiamo – anzi, lo sapevano benissimo pure allora! – che il libro disarma il moschetto. Poi però vediamo la gente armata che in America manifesta nei giorni delle libere elezioni, e allora ci viene da pensare.
Oggi l’edificio è il punto di ritrovo di Legambiente Quarrata, e in esterno si può vedere una bacheca gialla dove vengono affissi i ritagli di giornale o le comunicazioni che riguardano l’associazione. Sul tetto, è stato anche installato da Legambiente un analizzatore CNR-INO per polveri sottili PM 2,5, intitolato alla memoria del nostro direttore Giancarlo Zampini, da sempre attentissimo alle tematiche ambientali.