La tradizione del panìco

La tradizione del panìco

di Giancarlo Zampini

settembre 2011

Solo chi ha i capelli bianchi può riconoscere il tipo di pianta che si vede molto bene nelle foto allegate: si tratta del panìco. Proprio così si chiamano queste nappe ricche di migliaia di semi destinati all’alimentazione di piccoli uccelli. Una tradizione che per anni è stata portata avanti dai contadini della Piana Pistoiese; si contavano a centinaia i produttori del dopo guerra, altrettanti si dedicavano alla coltivazione della saìna, il cui nome corretto è saggina e serve per la fabbricazione delle scope, le granate come si dice dalle nostre parti. Il panìco pistoiese è sicuramente fra i più apprezzati al mondo, considerato che ancora oggi una parte della produzione viene esportata in vari paesi europei, anche all’est.

Negli ultimi anni a garantire una produzione seppur minima è stata la Cooperativa Agricola 3P (Produttori Pistoiesi Panìco) poco meno di una decina, che ha incontrato sempre più difficoltà nel portare avanti questa coltivazione, attaccata in modo massiccio da una miriade di passerotti e piccoli uccelli. Nel recente passato questi produttori temerari hanno anche istaurato una vera battaglia con i volatili che si mangiavano quasi il 50% del raccolto. L’unico modo per difendersi era, ed è, quello di posizionare dei detonatori a gas, conosciuti come cannoni, sparsi fra i campi e regolati da un timer, che a cadenza regolare provoca un botto per spaventare i volatili: purtroppo i pennuti hanno fatto l’abitudine anche a questo tipo di rimedio e per i coltivatori si tratta di perdite notevoli. Un problema cresciuto negli ultimi anni perché i passerotti sono quadruplicati nel giro di poco tempo, una crescita favorita in modo particolare dalle normative che regolano la caccia che hanno inserito i passeracei fra le specie non cacciabili. Quando la nappa di panìco è stata attaccata dai passerotti diventa invendibile, non ha mercato, la stessa si presenta di colore nerastro ed in parte spelacchiata, in particolare alla corona, dove sta l’attaccatura del gambo.

Ma torniamo alla storia, sottolineando che il panìco è stato un prodotto molto remunerativo per i coltivatori della Piana, e lo sarebbe sicuramente anche oggi, per il poco spazio che occupa la coltivazione e per la richiesta di mercato, essendo il nostro uno dei migliore al mondo (niente a che fare con quello proveniente dalla Cina). Quando nacque la Cooperativa, nel 1981, i soci coltivatori erano cinquantacinque, oggi come detto non si arriva ad una decina, anche perché molti terreni sono adibiti alla coltivazione delle piante. Presidente è Domizio Tasi e le foto che vedete sono state scattate circa tre anni fa presso il coltivatore storico Raffaello Bonacchi, che ha la residenza ed i terreni in zona Mollungo, proprio confinante il lago di pesca sportiva. Sempre per non dimenticare, con il panìco si è fatto anche il pane, come accaddeva anche in tempo di guerra. Una prova è stata fatta alcuni anni fa presso lo storico panificio di Piero Capecchi di Capostrada: il risultato fu ottimo, come tutti i tipi di pane che passano sotto le magiche mani di Piero, eccellente di gusto, ma il prezzo un po’ alto. <<Non abbiamo mai trovato sul mercato un panìco che sia come il nostro>>, ebbe a dirci una volta Raffaello Bonacchi, <<coltivare il panìco, è una tradizione tipicamente pistoiese>>.

Quando lo seminavano i contadini

Il panìco veniva seminato a maggio e maturava fino ad agosto – primi di settembre. La raccolta iniziava alla metà di settembre fino alla fine del mese, il tutto rigorosamente fatto a mano con l’utilizzo di strumenti come la falce. Le pannocchie (dette “nappe”) venivano tagliate lasciando il gambo della pianta. Il raccolto arrivava poi nell’aia, dove le donne pulivano le pannocchie dall’eccesso e preparavano i mazzi: ogni mazzo comprendeva un massimo di trenta pannocchie che poi venivano messe a seccare su dei tronchi o tubi di ferro (foto pag. 49). Se la stagione era buona e ben soleggiata, i mazzi seccavano in un paio di giorni, ma se pioveva ci poteva volere anche più di una settimana perchè il panìco doveva essere continuamente coperto con teli, dato che lo si teneva all’aperto. Quando mancava un giorno alla maturazione, si mettevano sotto i mazzi (che rimanevano sospesi in aria) piccoli bracieri accesi con lo zolfo: questo serviva a disinfettare le piante, scacciare eventuali insetti e conferire al panìco un leggero riflesso dorato. Poi lo si teneva un’altro giorno all’aria aperta, prima della vendita.

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