La vita quarratina di qualche anno fa…

La vita quarratina di qualche anno fa…

di Massimo Cappelli

settembre 2010

Miei amati lettori, (s’ha a principia’ bene questa volta) ispirato dall’archivio fotografico Michelozzi, in questo mio spazio voglio provare a stimolare la vostra capacità emotiva, ma a differenza delle pagine passate non lo farò con l’immagine ma col testo, rappresentandovi quadri di vita quarratina di qualche anno fa. Attingendo dai miei ricordi, cercherò di connettermi ai vostri e attraverso luoghi, situazioni e personaggi, proverò a far capire anche ai più giovani, che in fondo, i loro genitori, non erano da essi molto diversi. Per andare avanti, paradossalmente devo tornare indietro e ho bisogno dell’Aspes Hopi 125 e della Fiat 126 gialla, dei capelli con la riga in mezzo, del Loden grigio (perché l’eskimo verde oggi sarebbe troppo compromettente), delle Clark o dei Camperos, del Bar La Pineta (che c’è ancora), del Bar Cristallo (che non c’è più), del mitico Tamburo della Luna e dei passi di boogie woogie, di venti chili in meno e di quant’altro che scrivendo ricorderò.

E’ lunedì mattina di una bella giornata di primavera del 1976, mi sveglio come sempre in ritardo, caffellatte a imbuto, scendo in garage e metto in moto l’Aspes, ma con le espadrilles è molto difficile, l’urto di rimando mi fora la suola destra costruita in corda. Pazienza. Parto per il lavoro, la mia moto, con la marmitta Lafranconi ad espansione, già di prima mattina va che è una meraviglia, ha voglia l’amico Marco Gradi a decantare tanto la sua Beta 125, la beta, caro Marco, arriva sempre seconda… ad iniziare dall’alfabeto greco. In via Vittorio Veneto trovo Brunello Bucciantini che riporta a casa suo fratello Benito spingendo la carrozzina di passo svelto. Benito, lo dico per i più giovani, è come si dice oggi diversamente abile (foto pag. 24 in alto), però, con un’apposita carrozzina a tre ruote che lui aziona girando una manovella, riesce ad essere relativamente autonomo, soprattutto per i suoi spostamenti.

E’ uscito di casa il pomeriggio del giorno prima, ha passato tutta la notte fuori come sua abitudine e adesso, come ogni mattina, il fratello, incurante della sua disapprovazione, lo viene a prelevare. Gli rimango di spalle ma se incrociassi il suo sguardo so che non mi darebbe soddisfazione e, imbronciato, guarderebbe diritto davanti a se. E’ un grande tifoso del Torino Calcio e deve, secondo lui, sopportare la grande croce di dipendere da un fratello juventino. Una volta a casa, Brunello lo lava e lo mette a letto, dove dorme fino al tardo pomeriggio, quando si alza fresco come una rosa, inizia il giro dei bar nei quali conosce tutti e tutti conoscono lui, quindi, scarrozzando per tutta la notte, arriva fino alla mattina dopo. A Quarrata in quegli anni c’erano due cinema, il Nazionale e il Moderno, o nell’uno o nell’altro, a seconda della programmazione (lui preferiva le pellicole più “piccanti”) immancabilmente c’era Benito. Lasciava la carrozzina e strisciando sui piedi, aggrappandosi con le possenti mani alle poltroncine e fiatando sul collo di chi sedeva in capofila, arrivava ai primi posti dove rimaneva fino alla fine della proiezione.

Ma abbandoniamo le “malefatte” di Benito… ricordate? Sto facendo tardi al lavoro! Mi ricordo che la sera prima ho finito le sigarette, per cui mi precipito, visto il ritardo, al tabacchino in Piazza Risorgimento: dal “Bianchi”, l’attuale Bar Grazia, forse a quell’epoca si chiamava già Bar Grazia, ma impropriamente si è portato dietro il nome dei vecchi proprietari per molto tempo. Vedo che Vasco, meglio conosciuto come Lo Scudiero, ha già aperto il suo chiosco, dico: <<Buongiorno Scudo>>, e lui <<bah…ciao nanni>>. Compro le sigarette e scappo via. Inizio il giro della piazza e passando davanti ai Carabinieri cerco di avvolgere piano l’acceleratore per fare il meno rumore possibile, ma sulla porta della caserma spunta il Brigadiere Liberati che agitando la mano di taglio, bonariamente mi ammonisce. All’altezza de “La Soffitta” la galleria d’arte sotto la quale qualche anno dopo sorgerà “Il Pentagramma”, scorgo Millo Giannini (l’uomo seduto che compare nella copertina di questo numero) che sta cercando la chiave giusta per aprire la porta del suo studio, vedo che viene distratto dal mio passaggio, più che altro dal rumore della marmitta.

Mi immetto in via Roma e all’angolo della “Giolla” ecco Marco Convalle che come tutte le mattine si reca a piedi al lavoro: Marco lavora alla Cassa di Risparmio e stamani manca poco che lo investo, mi scuso, lo saluto, e lui solare come sempre, sorride e continua il cammino. E’ tardissimo, ma io e la mia moto non possiamo rinunciare alla mattutina botta d’adrenalina, per cui mi dirigo verso Via Pistoia, arrivo al “Ponte dei Sospiri” in terza a velocità sostenuta e faccio un salto di circa 7 metri, rischiando di andare a rifare colazione in casa alla fioraia. Ho fatto appena in tempo a scorgere la colonnina dipinta da Carlo Giacomelli (foto pag. 19 in alto), posta davanti alla sua casa in prossimità del ponticino. Carlo Giacomelli, pittore quarratino ci ha regalato tante opere, era molto bravo a fare ritratti, li eseguiva in maniera talmente accurata e fedele, che in ogni suo quadro ci trascinava anche l’anima del soggetto.

Carlo bazzicava il Bar Moderno (La Pipiona), aveva sempre con sé il taccuino e il lapis, si sedeva a un tavolo e ritraeva chiunque gli si sedesse davanti, preferendo però le persone più anziane. Mi vengono in mente, fra i tanti, i bozzetti di Manasse, e di Leggerino. Un giorno, ricordo che con rammarico, mi confidò di non avere mai imparato a disegnare le mani dei suoi modelli. I quarratini più attempati sicuramente si ricorderanno della colonnina posta davanti casa sua, sui cui tre lati che davano sulla strada aveva affrescato la Madonna, il volto di Gesù, John e Bob Kennedy e Papa Giovanni XXIII°. Questa opera era l’alter ego di Carlo Giacomelli e fino a che è stato in vita e in salute ha provveduto a conservarla. Giacomelli ha vissuto una vita umile, e contrariamente al mio modesto pensiero, non ha avuto molti apprezzamenti positivi dalla critica, molto probabilmente perché è nato e vissuto nell’epoca sbagliata, dove l’arte, più strana e incomprensibile è, e più valore ha. Ha avuto la sfortuna di esser nato in un tempo nel quale molti artisti, con la scusa di esprimere dei concetti, realizzano delle opere colando la vernice dal barattolo o addirittura tagliando la tela con la lametta, lavori pagati milioni di euro e poi, magari, dopo l’acquisto “esposti” in una cassetta di sicurezza di qualche banca svizzera. Le opere del Giacomelli, invece, si possono ancora ammirare in molte case quarratine (e non solo), si riconoscono, oltre che dallo stile inconfondibile, dalla firma comprensibilissima.

Mi lascio alle spalle le mie blande considerazioni sull’arte contemporanea, proseguo la mia corsa in via della Madonna per poi sboccare in via Montalbano; arrivato davanti alla Mobilmoderna la moto mi abbandona, <<per forza>>, penso, <<la moto… va a benzina… mica a discorsi>>. Poco male, sono vicino al distributore del Palandri, a quel tempo Chevron oggi diventato Esso; malgrado la espadrilla rotta spingo la moto per qualche metro ed entro nella piazzola, Giuliano sta mangiando due fette di pane col salame delle quali non si vede la fine, la Paola, sua moglie, luminosa, mi viene incontro, le chiedo, con un po’ di fiato grosso: <<mi dai mille e cinquecento lire di benzina>>. È un piacere farsi servire dalla Paola perché, oltre a essere una bellissima donna, è la simpatia in persona. Pago e riparto, anche stamani un quarto d’ora di ritardo: devo pensare ad una nuova, credibile scusa.

Nella pausa pranzo di un’ora e mezzo: tre minuti per andare a casa, cinque per mangiare, due minuti per arrivare a La Pineta dove si rimaneva per più di un’ora. Avete presente il Palio di Siena? Ecco, a quei tempi il piazzale del Bar La Pineta era come Piazza del Campo, fino alle due meno cinque del pomeriggio però, quando suonava la seconda sirena del Lenzi e della Cimot, dopodiché diventava un deserto. Erano i tempi del boom economico ed anche Quarrata fruiva dei benefici di quegli anni, circa il settanta per cento della popolazione era connessa al comparto del mobile imbottito o all’arredamento in genere, lavorando in proprio, conto terzi o in modo subordinato; chi non lavorava era perché non voleva lavorare. Erano molti i ragazzi della mia età che alternavano giornalmente il posto di lavoro ai luoghi di aggregazione, anche nella pausa pranzo, dove dopo aver gustato un buon caffè, si dedicavano agli svaghi più comuni: Il biliardino, il ping pong, le carte, il biliardo o semplicemente la discussione sul campionato di calcio in difesa della squadra del cuore. A quell’epoca, molto spesso, si poteva incontrare al banco del bar il proposto di allora, il grande don Aldo Ciottoli che, dopo aver ordinato il caffè e pagato tre o quattro paste a Nazzareno, si fermava qualche minuto a conversare con i presenti, fino a che le ingiurie e le bestemmie provenienti dalle altre stanze, in aggiunta ai “rutti” del Pacchiani, non lo facevano scappare. Questa era la pausa pranzo, prima della cena invece, c’era un altro locale (sede dell’A.C. Quarrata): il Bar Cristallo, situato in via Montalbano. Il bar era gestito dai gemelli Piero e Paolo Becagli e dal loro cognato Giancarlo Finocchi meglio conosciuto con lo pseudonimo di Baffino. Il Bar Cristallo era il bar dello sport e degli aperitivi, Piero e Paolo, barman per passione, sono stati i precursori dell’happy hour, dando inizio, più di trent’anni fa, alla consuetudine di ritrovarsi prima della cena a gustare un cocktail accompagnato non solo da salatini, ma anche da musica e da ricercati bocconcini: la “Quarrata da ingollare” molto prima della “Milano da bere”…

Continua nel prossimo numero.

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