Luigi Borchi – una storia di coraggio e solidarietà

Luigi Borchi – una storia di coraggio e solidarietà

di David Colzi e Massimo Cappelli

giugno 2012

Questa storia arriva da lontano, più precisamente dal 1943, ed inizia in autunno. All’epoca l’Italia fascista aveva da poco proclamato l’armistizio dell’8 settembre e a Quarrata già si temeva l’invasione delle forze naziste, che però sarebbero arrivate solo nel ’44, collocando il loro comando nella fattoria Bardi-Papini di Montorio. Ciononostante la vita per i rifugiati ebrei era già pericolosa, con i nazi-fascisti in giro, così alcuni di loro si rifugiarono sul Montalbano: a questo punto del nostro racconto entrano in scena Luigi Borchi e la sua famiglia. Classe 1934, all’epoca dei fatti il nostro Luigi era un bambino che non aveva ancora finito le elementari, eppure trovò il coraggio di fare da staffetta per i messaggi delle famiglie nascoste, di cui una era rifugiata proprio a casa sua. <<Abitavo a Montorio, in via di Carraia, con la mia famiglia composta da mio padre, mia madre, mia zia, e le due sorelle di cui una aveva una bimba>> dice Luigi Borchi <<Inizialmente arrivò da noi solo il capo famiglia, Egon, un ingegnere slavo che viveva in America, poi lo raggiunsero anche la moglie e le figlie.Però, parte di quella famiglia si trovava a Buriano, ospitata dai Guidotti: (la cui storia abbiamo raccontata nel n°1 del 2011 n.d.r.) lì si era rifugiata la sorella della signora che era da noi, assieme al marito, le due figlie e la suocera. Infine c’era la cognata del signor Egon, nascosta assieme ai due figli in un’altra casa di Montorio. Il mio compito era tenerli tutti in contatto.>>

Così, a piedi, camminando veloce tra boschi e campi, Luigi andava da Montorio a Buriano, portando talvolta un biglietto, altre volte un pacchettino, sicuro del fatto che a nessuno sarebbe venuto in mente di fermare un ragazzino di neanche dieci anni. <<Facevo il tragitto almeno un paio di volte la settimana e questo è durato per tutto l’inverno. Successivamente la famiglia si spostò verso Lucciano.>> prosegue Luigi <<Come premio il signor Egon, mi dava ogni volta cinque lire di carta che ovviamente venivano spese per la famiglia, perché a quei tempi la miseria non mancava per nessuno.>> Per farvi capire meglio quanto era pericoloso tenere in casa una famiglia di rifugiati, sappiate che il loro trasferimento a Lucciano, avvenne di notte, con tanto di segnali luminosi a distanza, in cima alle croci del Montalbano. <<I nostri amici ebrei se ne andarono nel ’44, perché stavano arrivando i nazisti ad occupare la città e la nostra casa non era più sicura per loro>> precisa il signor Borchi.

Ma come si viveva tutti sotto lo stesso tetto? <<Ci stringevamo un po’,>> dice Luigi <<pensi che in casa c’erano tre stanze per undici persone! Mi ricordo che loro passavano le giornate a leggere libri, in quanto erano persone molto istruite>>. Poi la guerra arrivò anche a Quarrata, con i cannoneggiamenti dalla parte di Vinci. <<Non solo,>> precisa il signor Luigi <<a Quarrata, i tedeschi in ritirata fecero saltare il borgo di case in località Casini, i ponti e quant’altro potesse rallentare l’avanzata degli alleati; era l’estate del 1944 e quello fu davvero un brutto periodo per tutti.>> Così la famiglia Borchi si trovò di nuovo ad ospitare altre persone, ma stavolta erano sfollati. Solo alla fine della guerra, Luigi e tutta la sua famiglia poterono riabbracciare le persone che avevano ospitato nel ’43. <<Quando rividi il signor Egon, mi emozionai come se avessi ritrovato mio padre. D’altronde tanti mesi di convivenza “forzata” creano legami di affetto che poi durano negli anni. Le figlie sono rimaste in Italia, una a Milano e l’altra a Firenze, per questo abbiamo avuto modo, nel tempo, di rivederci e stare insieme… da persone libere>> conclude Luigi Borchi.

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