di Redazione
marzo 2022
Pubblichiamo volentieri la lettera scritta da Mariarosa, responsabile del centro OAMI (Opera Assistenza Malati Impediti) di Quarrata. Questa testimonianza vuole essere un ringraziamento verso coloro che hanno aiutato il personale e gli ospiti della struttura, nei momenti più bui della pandemia. Mariarosa precisa che per realizzare il testo, si è avvalsa anche dei ricordi di alcuni ospiti della struttura, e questo rende il racconto ancora più toccante. Riaffiorano così aneddoti e volti di persone, talvolta sconosciute, che con il loro operato, ci rammentano ancora una volta la straordinaria generosità dei quarratini.
Sei un bambino al mare che si diverte nell’acqua. Poi arriva un onda alta, “anomala” la chiamano: guardi la mamma che chiacchiera sulla spiaggia, e pensi che annegherai.
Così eravamo noi dell’Oami a Quarrata, quando si viveva la nostra semplice vita. Oddio, mica tanto semplice malati come siamo, ma dato che siamo anche tipi da sbarco, tiravamo dritti alla faccia delle nostre malattie. Poi arriva l’onda Covid-19. Per un po’ resistiamo chiusi in casa come in prigione, mentre attorno a noi il mondo crolla a pezzi, e sotto il terrazzo non passa un’auto e non si sente una voce. Poi una domenica pomeriggio qualcuno ha un po’ febbre e l’infermiera che fa il tampone di controllo dice che è positivo: inizia così. L’onda si alza e ci viene addosso: in pochi giorni abbiamo febbre alta, tosse convulsa e non respiriamo più: arrivano le ambulanze a due a due a prenderci, e a sirene spiegate ci disperdono tra ospedali mai sentiti nominare prima. Chi resta viene chiuso nelle stanze dagli uomini in tuta bianca, maschera e scudo facciale dell’usl: marziani dagli occhi gentili, ma implacabili. Sola compagnia nelle stanze la TV sempre accesa sul conto dei morti.
Certo che è dura… e però, però l’Oami è a Quarrata. E Quarrata non ci lascia soli.
Ancora oggi penso che la tosse con cui rispondevo al telefono, più che al Covid fosse dovuta al fatto di non reggere il ritmo delle continue chiamate: dei nostri meravigliosi volontari e dei parenti di ogni ospite che si facevano parenti di tutti: «Come stanno i ragazzi?». «Salutami i ragazzi!». «Tenete duro!» Gli ospedali che li ricoverano non hanno le loro medicine speciali, così ce le chiedono insieme ai cambi di biancheria: «Certo!» dico io al telefono, mentre penso: «Oddio, ma come?» Ma la Croce Rossa e la Misericordia locale non hanno di questi problemi: «Metti il tutto nei sacchi di plastica doppi sigillati, fuori dal cancello, con sopra l’indirizzo ed il nome. Ci si pensa noi». «Sì, ma come faccio a pagare il servizio, se sono chiusa?» «Ti faremo sapere». Mai saputo più nulla.
Si presenta un Natale vuoto di doni, e invece no perché ci scrivono i bambini di una scuola elementare; e le loro maestre ci lasciano al cancello scatole di cartone decorate con le loro lettere e disegni e biglietti di conforto. Andranno dritte sotto l’albero del salotto, che non posso vedere per cui me lo immagino raddrizzarsi orgoglioso, perché anche quest’anno avrà i suoi pacchetti sotto.
Ancora il telefono: «Avete bisogno di qualcosa?» Come fai a dire di no… così invento: «Profumo. Per accorgersi se lo sentono». «Domani, nella cassetta delle lettere». «Ah, e poi ci sono gli esami già fatti da ritirare all’ospedale, ma è tutto blindato… non so come…» «Fammi una delega, provo». Uomini di Dio: «Posso solo pregare». «E ti pare poco? Io che come sai non ero capace, non faccio altro».
Notti da incubo, silenzio totale lacerato solo dalle sirene delle ambulanze per le strade deserte di Quarrata, che mi svegliano di colpo con la TV ancora accesa sui letti degli ospedali, e non riesco a staccare gli occhi da quello che di giorno trovo ogni scusa per non guardare. Per fortuna dopo un po’ non vedo più tanto bene… la gatta di casa viene a leccarmi le mani umide. Dio ti ringrazio per questa creatura.
Ancora il telefono, voce femminile stavolta, sconosciuta: «Ho una pizzeria: che ne dite di una pizza calda sabato sera?» «Grazie! Noi la pizza ce la mangeremo anche con il caffellatte; sarà festa questo sabato!». La porterà tutti i sabati, e nella sere di dicembre i cartoni caldi delle pizze sulle braccia fredde sono una carezza di madre.
Il personale è falcidiato dal virus, ma quelli che resistono fanno turno unico: quando mi mettono fuori dalla porta il vassoio con il pranzo, bussano e mi chiedono: «Come stai?» «No, come stai tu!? Eri qui ieri pomeriggio, sei passata stanotte e sei qui di nuovo ora…» «Ma sai, tanto io son di Quarrata».
La legge impone di segnalare la struttura- Covid all’azienda rifiuti, è un rischio penale non comunicarlo mi dicono, ma io non riesco a venire a patti con i centralini elettronici delle aziende neanche in tempi normali, figurarsi ora. Cosi telefono: «Scusa Sindaco, ma non son capace, come si fa?» «Si fa che ci penso io, tu pensa a curarli».
Voce maschile ogni sabato mattina presto: «Come state?». E vuol sapere ogni dettaglio, e si premura di dare ogni informazione possibile per migliorarci la vita. La voce appartiene al capo delle tute bianche mascherate che son venute qui a rinchiuderci, l’USL insomma. Il rancore irragionevole che gli porto per questo, cede il passo al sollievo e alla speranza che anche le altre USL d’Italia siano vicine alle case come la nostra.
Telefona mio fratello dal Veneto: «Qui è terribile. Lì da te?» «Anche. Ma noi a Quarrata mica si frigge con l’acqua sai?» «Eh?» «Lascia stare: quando torno ti spiego».