di Giacomo Bini
settembre 2014
Il diario di guerra di Michelangelo Belli, contadino della Caserana, è un quaderno con la copertina nera, che racchiude preziose e commoventi annotazioni, vergate giorno per giorno in 121 pagine, nei due anni che vanno dal 1916 al 1918. Michelangelo era nato nel 1897 e fu chiamato alle armi quando aveva 18 anni, nel maggio del 1917. Due mesi prima era morto suo fratello più grande Ferruccio, anche lui soldato nella Grande Guerra, che fu mandato in licenza per malattia e morì a casa sua di spagnola. Michelangelo dovette lasciare il podere della Querciola il 28 maggio del ’17 e proprio dal distacco, straziante, dai suoi genitori inizia il suo diario: “Dovetti partire tutto addolorato salutai la mia famiglia cogli occhi pieni di pianti”. Il giovane contadino sentiva il bisogno di scrivere quello che gli capitava ogni giorno e lo fece con regolarità impressionante visto il disagio e le difficoltà della sua condizione, sempre in movimento, stremato dalle marce, accampato o spesso costretto a dormire a ciel sereno, sotto la pioggia battente o nella neve, mentre sempre più vicini “mugliavano” i cannoni.
Il diario è diviso in due parti: la prima tratta della vita al fronte e arriva fino alla disfatta di Caporetto, la seconda, forse ancora più drammatica, intitolata “la vita imprigionata”, racconta il periodo della prigionia in un campo in Ungheria che sembra l’anticipazione di un lager nazista. Michelangelo cessò di scrivere solo nei primi mesi del 1918 quando finirono i fogli del quaderno. La prosa di Michelangelo riflette la lingua parlata della sua gente e si attiene ai fatti con lo stile asciutto del cronista e con una grande efficacia descrittiva. Per capire la fame terribile sofferta durante la prigionia, basta questa frase: “Sicominciava a strappare dell’erbe sui prodoli come le pecore”. E l’impressione provata nel momento della cattura da parte degli austriaci viene espressa così: “si vede da tutte le parti sortire fuori Germanesi che parevano tanti Giganti”. Mentre era nel campo di prigionia Michelangelo vendette un quarto del pane che gli toccava, una razione di 300 grammi ogni quattro giorni, per poter inviare a casa il telegramma che informava che era vivo. Michelangelo riuscì a tornare a casa, nel 1919 e da allora, fino alla sua morte nel 1971, ha sempre conservato gelosamente il suo diario, insieme al portafogli in pelle che conteneva le cartoline inviate dalla guerra e la sua foto da soldato, simile a quelle di tanti altri ragazzi in divisa, che aveva finito quasi per fondersi con un santino della madonna. Francesco Belli, figlio di Michelangelo, ha continuato a custodire con venerazione quel quadernetto nero e ora, in occasione del centesimo anniversario della Prima Guerra Mondiale, ha consentito che fosse mostrato in una serata pubblica tenutasi alla Casa di Zela. «Per me questo diario ha un valore inestimabile» dice Francesco, che ora ha 84 anni «non lo darei via per niente al mondo. Mio padre lo ha tenuto sempre con sé e raccontava spesso della guerra ma quando arrivava a parlare della prigionia gli veniva da piangere. Ogni anno andava a Redipuglia per incontrare i suoi vecchi compagni. La croce al valore di Vittorio Veneto, gli fu consegnata due giorni dopo la sua morte nel 1971».
Per capire l’impatto della Prima Guerra Mondiale nelle nostre campagne basta un dato: nel Comune di Tizzana, che allora aveva 12mila abitanti, i morti furono 317. Per questo dobbiamo essere grati a Michelangelo, per il suo diario e ai suoi familiari che lo hanno conservato.
Partendo dall’alto: Michelangelo Belli. Nella foto sotto si vede a sinistra il fratello di Michelangelo, Ferruccio. Foto sopra: Francesco, figlio di Michelangelo Belli
Ecco alcune pagine del diario di guerra di Michelangelo Belli.
Settembre 1916: “Causa si era in vista del nemico tutti avviliti pensando che cera rimasto unora eppoi sandava di rinforsso al 20° reggimento portino rancio e nessuno lo piglia portino la marsala ennessuno la beve continuava il bombardamento dopo poco chiamano i capi squadra a pigliare le bombe sacchetti atterrra pacchetto di medicazione eccidistribuiscono tutto alla vita non si faceva più conto il Maresciallo mi diceva Belli fra pochi minuti si va ssu coraggio ti prego se resto ferito io ti prego di assistimi se rimani tu penso io affarti portare al posto di medicazione. Cisiguardava in viso luni collaltro sidiceva coraggio dopo poco come Dio volle si sente cessare tutte le artiglierie di sparare si disse questo è il momento dassalto dinvece sisente chiamare i capi squadra ritirarci le bombe e laltra roba figuratevi la nostra contentezza allora verso le 12 viene lordine di partire per ritornare Aggrigno noi bene che si fosse stanchi impauriti si fa a zaino a spalla evvia sariva al posto la sera verso le 3 il motivo fu questo che sospero lazione fu strutto il 72 battaglione frammorto e prigionieri allora vedendo che non potevano sfondare fu sospesa senno sfondavano noi”.
Novembre 1918 da prigioniero: “Simbarca 50 per vagone bene allucchettati evvia. Si passa il primo giorno e gnente il secondo giorno cidiedero impoco di caffe la mattina e un poco dorzo la sera e gnentaltro. La mattina del terzo giorno ci fermarono in una stazione per darci unpoco di caffe appunto cera un vagone di rape e io dissi voglio tentare di pigliarne una salii sul vagone tanto ne piglio una. Mentre la pigliavo vedo una sentinella che simposta per darmi una fucilata allora mi buttai di sotto ma il colpo era partito ma non mi corse il colpo casco ma non mi prese. Ma io non pensavo al caso e a quello che doveva succedere tanto ritorno nel vagone e mi mangiavo questa bella rapa che gli altri gli arrugginiva i denti e io dicevo cari ragazzi bisogna azzardare”.