di Carlo Rossetti
dicembre 2011
Dire Rino Bardi, è un inutile tentativo per richiamare alla mente un personaggio di cui vogliamo parlare; se diciamo invece Cecco, ecco che l’identità si palesa immediatamente come tipica figura locale e soprattutto per la sua attività di pizzaiolo. La pizzeria di Cecco sorta verso la metà degli anni ’50, fu il punto di ritrovo di tanti giovani, incuriositi dalla novità in un primo momento, attratti poi dalla gustosa pizza servita. Così i ragazzi di quella generazione dopo il cinema o la sala da ballo, si fermavano da lui per rimandare ancora l’ora di andare a letto. Cecco aveva aperto la pizzeria all’imbocco di Via Montalbano, prossima alla piazza del mercato, in un piccolo locale che poteva contenere appena il forno e pochi tavoli. L’idea si rivelò un’iniziativa fortunata che ebbe subito successo. Infatti aveva capito che la pizza, piatto legato in particolar modo alla cucina napoletana, ma da tempo “esportato” anche al Nord, poteva essere introdotto a Quarrata incontrando il favore dei paesani. E fu così.
Per iniziare, essendo nuovo del ramo, si avvalse di Rosildo, esperto pizzaiolo di Altopascio, “patria” di eccellenti panettieri, il quale dimostrò di possedere molta capacità dietro il bancone. Ad aiutare c’era anche la moglie Zelina e la figlia Paola che sarebbe subentrata in seguito a Rosildo; all’epoca, ancora piccola, iniziò a manipolare la pasta salendo su un gradino per raggiungere il bancone. Furono anni di intenso lavoro quelli che seguirono, per il nome che Cecco si era conquistato, specie presso coloro che prima d’allora non avevano mai assaggiata la pizza. L’atmosfera della pizzeria divenne ben presto quella di un bar. In un clima scanzonato, talvolta goliardico, ci si intratteneva a lungo per fare delle chiacchiere, scherzare, conversare di qualsiasi argomento, a cui partecipava anche Cecco che, prendeva parte alla conversazione. Beninteso che non si eccedesse, nel qual caso richiamava tutti all’ordine con perentorietà, come non era opportuno fare chiasso nei momenti in cui “non aveva la giornata la buona“. Allora bastava entrare nel locale per accorgersi che era meglio non alzare i toni, di ordinare e mettersi buoni da una parte. Pur essendo registrato all’anagrafe col nome di Rino, era da tutti conosciuto come Cecco, appellativo che ormai si portava dietro fin da ragazzo, dopo che il fratello maggiore glielo aveva affibbiato.
Piuttosto alto di statura, con bei lineamenti, non aveva più nessun capello. Conservava qua e là qualche filo che cercava di disporre alla meglio sulla testa monda, a ricordo di una capigliatura che da tempo l’aveva abbandonato. Ma non per questo si può dire che non avesse un bell’aspetto ugualmente. Poi verso il 1958, quando ormai il locale non era più in grado di ospitare tutta la clientela, la pizzeria si trasferì in Via Roma, vicino al ponte sul Fermulla. Finalmente l’esercizio poteva contare su uno spazio maggiore con diverse sale a disposizione e un giardino interno. Dalla piccola pizzeria di Via Montalbano, oltre ai numerosi e affezionati clienti, erano passati personaggi come Nilla Pizzi, Gianni Morandi, Toni Renis, Paolo Mengoli e Milva, quando ancora si chiamava Sabrina, approdati a Quarrata per i famosi veglioni di carnevale.
Da sinistra: Giannetto Rossetti, Nilla Pizzi e Fedro Gradi. Dietro al bancone, Cecco.
Con il cambio dei locali l’esercizio divenne un ristorante vero e proprio dove si poteva mangiare di tutto ma conservando nella pizza l’elemento di maggiore richiamo. Quel periodo per noi che l’abbiamo frequentato, è legato al ricordo dei succulenti rigatoni della Zelina, che si aggiungevamo alla cena delle otto, quasi tutte le sere verso mezzanotte, prima come scusa per ritrovarci, poi, con l’andar del tempo, come esigenza dello stomaco per la fame che ci veniva, ormai abituati a mangiare a quell’ora. Seduti a un tavolo in prossimità della cucina, non appena la Zelina sentiva il nostro arrivo, si affacciava per ascoltare i discorsi o il racconto di un fatto, affidato alla fantasia di qualcuno della compagnia.
La Zelina appariva accaldata sulla porta, con un sorriso franco e aperto che trasmetteva immediatamente simpatia. Ci diceva che quella breve sosta le era necessaria per rinfrancarsi e riprendere fiato, prima di tornare ai fornelli. Rimaneva per un po’ presso il nostro tavolo in attesa della battuta, del commento ironico o della storia paradossale che inventavamo per lei. Si può dire che per noi la pizzeria era un prolungamento di casa. Ma la stessa poteva vantare anche una galleria di personaggi, clienti abituali, che apparivano di quando in quando a destare la nostra ilarità. A completare il quadro c’era anche Fura, piccola cagnetta che mangiava soltanto quando Cecco, dopo avere servito la gente, si metteva a sedere per la cena, ma aspettando rigorosamente che il suo padrone gli desse il via. Poi la Paola, ormai grande, divenne responsabile del forno e le sue pizze non facevano certo rimpiangere quelle di Rosildo o di Cecco. Sembrerà impossibile ma a detta di molti, quella pizza rimane ancora una delle migliori di tutti i tempi.
Verso il 1972 per i raggiunti limiti di età di Cecco e della Zelina, e forse perché la Paola aveva intravisto per sé un diverso futuro, la pizzeria fu ceduta. Come nel destino di tante cose, con la cessione finiva un epoca eccezionale, perché la pizzeria di Cecco, esempio di una cucina genuina e popolare, era legata alla rinascita della vita sociale paesana e nella quale si era consumata parte della nostra vita. Certo non è finita con quella esperienza, l’epoca della pizza. Altri esercizi sono sorti un po’ dappertutto, ma di diversa tipologia, nei quali si entra in maniera quasi anonima per uscirne di lì a poco con la pizza in scatola, da consumarsi altrove al di fuori del rito collettivo. Pizzerie che quasi tutte si distinguono per l’inusitato richiamo dell’insegna: “Pizza a taglio e da asporto”.
Cecco e i Laureati
Ogni personaggio rimasto nella memoria e nel cuore di un paese, porta con sé una serie di aneddoti e leggende che diventano patrimonio della collettività. Per quel che riguarda Cecco si vocifera che una sera arrivarono nel suo locale un gruppo di giovani fiorentini che mangiarono tanto e di gusto. Giunto il momento di pagare, cominciarono a discutere animatamente su chi dovesse offrire la cena. Ognuno ricordava all’altro che la volta precedente era stato suo ospite e per questo, adesso, toccava a lui tirar fuori il portafoglio. In questa “generosa” tavolata ogni commensale voleva che il conto fosse recapitato a se stesso, e gli altri, si dovevano rassegnare. Dopo un po’, vedendo che non si veniva a capo della questione, il gruppo decise di fare una gara di corsa: il primo che fosse arrivato in Piazza della Vittoria, che distava pochi metri dal locale, avrebbe pagato il conto. In tutto questo Cecco, pare facesse da “starter” con un canovaccio, ricordando il film “Gioventù Bruciata“. L’esito fu facilmente intuibile: i giovani partirono veloci come lepri e quando arrivarono in prossimità di Via della Repubblica, svoltarono l’angolo senza far più ritorno.
Per dare un tono di veridicità all’accaduto, un nostro lettore ci ha fatto sapere che una volta fu lo stesso Cecco a raccontare questa burla, salvo poi aggiungere che i fiorentini, qualche tempo dopo, tornarono nel locale e scusandosi per la goliardata, pagarono il conto… stavolta per davvero! A confermare l’accaduto è arrivato un’altro lettore, che all’epoca dei fatti era un giovanotto come i ragazzi di Firenze. Lui ci ha fatto sapere che una sera, dopo essere stato a cena da Cecco con amici, disse al titolare: <<Portaci il conto. A proposito, possiamo fare anche noi una gara per decidere chi deve pagare?>> A questo punto, il nostro testimone afferma di essere stato letteralmente “gelato” da un occhiataccia che stoppò ogni altro commento scherzoso. In conclusione, noi ve l’abbiamo raccontata così come l’abbiamo sentita, prendendo sempre l’intera faccenda con le “pinze”, perché come ogni leggenda metropolitana, sicuramente mescola assieme verità e fantasia.
P.S: Tutto questo vi ricorda qualcosa? Una scena molto simile è contenuta nel film di Leonardo Pieraccioni, “I Laureati“, confermando il fatto che spesso il cinema toscano prende spunto dalle storie di paese, come ci ha ricordato Carlo Rossetti nel suo articolo “Amici Miei in stile quarratino” apparso nel numero di marzo 2011.