Platone e il Covid

Platone e il Covid

di Giacomo Bini

dicembre 2020

In un momento in cui la realtà è difficile da interpretare vogliamo ricordare una vecchia storia, che forse potrebbe esserci utile ora che siamo costretti dagli eventi a riflettere sulla nostra condizione e sul nostro futuro. La storia fu raccontata da un ateniese di nome Platone, all’incirca duemila e 400 anni fa. La riportiamo non alla lettera ma liberamente, come le favole che quando si raccontano non sono mai uguali alla volta precedente: 

«Una volta, tanto tempo fa, gli uomini vagavano sulla faccia della terra e non sapevano come rendere sicura la loro vita. Qualsiasi cosa succedesse era una minaccia. La pioggia inzuppava la loro pelle nuda, la neve la pungeva, la grandine la colpiva. Il caldo torrido del sole procurava sete e febbre picchiando sul capo scoperto. Indifesi, si accalcavano in grotte sotterranee e senza luce. Nessuna scienza medica curava i loro corpi feriti. E non potevano neppure rivolgersi agli altri essere umani per avere aiuto, non prendevano iniziative in comune e non avevano nemmeno una lingua per comunicare. Isolati, muti, nudi, non potevano né ricordare il passato, né fare piani per il futuro: “Come le ombre dei sogni, mescolavano tutto a caso, mentre la loro vita passava”. Si sarebbero subito estinti, vittime della fame, delle intemperie e delle belve se non fosse venuto in loro soccorso un titano, di nome Prometeo, il cui nome alla lettera vuol dire “che pensa prima, cioè che sa prevedere”. Prometeo donò agli uomini la scienza e la tecnica: architettura, agricoltura, metallurgia, caccia, costruzione di navi, linguaggio, medicina e soprattutto la capacità di calcolare e misurare “il numero, il capo di tutti gli stratagemmi”. L’esistenza umana divenne più sicura, più prevedibile; nacque la convinzione che ci fosse un modo per prendere il controllo di se stessi e della propria vita. Ma non era una convinzione del tutto fondata. Gli uomini si resero conto che molte delle loro iniziative erano soggette ad accidenti incontrollabili: terremoti, malattie impreviste, tempeste, pestilenze. Inoltre si accorsero di poter essere sopraffatti anche da spinte incontrollabili presenti dentro di loro, ventate di passione, violente e inarrestabili che offuscavano e distorcevano la loro visione della realtà e turbavano i loro comportamenti. Questa mancanza di controllo su se stessi, li rendeva confusi e incerti e l’intelligenza e la scienza non bastavano a rassicurarli. Anche così, ben attrezzati di tecniche e capacità produttive, andavano comunque verso l’estinzione. Allora Zeus, il padre degli dei, per salvarli dalla rovina, inviò il suo messaggero Ermes a portare agli uomini due doni: “aidos” cioè quella sorta di modestia e di pudore che trattiene dagli eccessi e anche “dike” cioè la giustizia, perché gli uomini la usassero per costruire ordinamenti buoni nelle città e legami di collaborazione e solidarietà. Il messaggero, Ermes, chiese a Zeus se quei due doni doveva darli solo ad alcuni, come avviene con le tecniche, quali la medicina o l’ingegneria, oppure se dovesse darli a tutti. Zeus rispose che doveva darli a tutti, perché altrimenti non poteva nascere una comunità politica. «Istituisci dunque in mio nome una legge – disse Zeus – per la quale chi non è capace di condividere la modestia e la giustizia sia soppresso come una malattia della città».

L’augurio che rivolgiamo ai nostri lettori e ai noi stessi per il prossimo anno è che la scienza sconfigga la malattia ma anche che prevalga il senso del limite e la modestia necessaria per imparare e ricordare. 

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