Quando Quarrata adottò il circo

Quando Quarrata adottò il circo

di Marco Bagnoli

settembre 2009 

Era il lunedì di carnevale del 1951. Quell’anno lì l’eccitazione s’era già messa in movimento, nella solita aria odorosa di polpette e birlingozzi: si andavano annunciando imminenti i tre giorni dei Fratelli de Bianchi, i tre giorni col tendone rotondo tirato su in piazza per il circo. Ma intanto la stagione ci metteva del suo. L’esperienza maturata nel tempo veniva calata come un pesante carico di briscola in favore di questa o quella frazione, a detta di tutti sicuramente fuori pericolo. E mentre i rinforzi agli argini seguitavano a non terminare mai e non sembravano mai abbastanza, il barometro della vera tempesta in arrivo stava nelle zampe e nelle code dei soliti topi matti, ebbri della smania pazza di tirare in secca le bucce.

E così alla fine l’Ombrone se ne venne proprio in piazza. Lo squarcio enorme, per tutta la sua lunghezza. L’Ombrone a svuotarsi e le campane suonate a martello, tutti svegli quella notte. La chiesa con due metri d’acqua, le case inondate. Polli morti, vitelli scomparsi. I raccolti guastati e un mare di guai. Del circo soltanto una carovana restava; sul tetto un paio dei fratelli. Tutti salvi, tutti incolumi: i fratelli e le sorelle de Bianchi, l’Ungherese che sapeva volare, il povero clown Pesciolino e la sua fionda di mutande, adesso da strizzare. Da morire dal ridere, non fosse che in quella pioggia si pareva tutti in lacrime. E intanto il fango s’era portato i pezzi fino a Vignole. L’Ombrone scontroso e intrattabile, che ti culla in estate e poi ti si porta via la casa stavolta s’era bevuto l’incanto di quel magico tendone. L’Ombrone s’era mangiato il circo e il suo breve regno in piazza, ma in cambio aveva concesso un’annata intera a pareggio del conto. I ferrucciani infatti, anche loro schiaffeggiati dalle acque, non si erano limitati a soccorrere quei bravi girovaghi per le impellenti necessità di un letto asciutto e di un pasto caldo. Il comune stesso in tutta la sua autorità aveva disposto affinché fosse loro concesso uno spazio in cui tirare il fiato per poi rimettersi in piedi: il teatro dell’allora casa del popolo in piazza della chiesa.

Ogni domenica, al richiamo ghiotto di un disco gracchiante, la gente si accalcava sotto il megafono del teatro e prendeva posto a sedere, mentre che quei bravi giovinotti e quelle gran belle ragazze davano il massimo nel forgiare il duro lavoro di far sognare la gente. E anche durante la settimana era sempre spettacolo per i ragazzi, che nelle aie, per strada e sotto i portici si divertivano a giocare alla vita rara del circo. Chi oggi ha i capelli bianchi ancora se lo ricorda; per tutti gli altri ci sono le foto del parroco della Ferruccia e il corso ombroso di un torrente che tutto si porta e qualche cosa lascia.

Il carnevale, quell’anno di piena del ‘51, s’interruppe brusco avanti il martedì. Ma poi riprese di slancio, fin quasi al ‘52.

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