Quarrata e il Capitonné

Quarrata e il Capitonné

di Massimo Cappelli

settembre 2021

Oggi parliamo di divani e nella fattispecie di un particolare modello per il quale Quarrata, con i suoi esperti artigiani, da sempre si contraddistingue nel mercato internazionale: la lavorazione a Capitonné. Prevalentemente realizzata in pelle, ma anche in stoffa o raso nei soggetti lignei e scorniciati, è caratterizzata da una serie di pieghe che formano una rete di losanghe, fermate agli angoli con dei bottoni che danno alla spalliera e ai braccioli un aspetto morbido ed elegante. I primi Capitonné compaiono a fine Settecento; pare che il nome in italiano equivalga a “trapuntato”; altre fonti invece spiegano che, siccome in origine la sua imbottitura era costituita da capiton, ovvero lo scarto di lavorazione della seta, il nome deriverebbe da lì. 

Il Capitonné è sicuramente passato alla storia grazie al divano Chesterfield, suo soggetto di punta, che prende il nome dall’omonima città britannica a cui si riferisce il titolo nobiliare di Lord Philip Dormer Stanhope, quarto Conte di Chesterfield e primo fruitore di questo canapè nei suoi salotti di Londra. Il Chester (negli anni così abbreviato) assunse la sua forma squadrata dalla seconda metà dell’Ottocento, specie nelle poltrone a pozzetto, che conferiscono una sensazione di compattezza e di forza, espressa soprattutto dai braccioli, che visti dalla parte anteriore, nell’insieme richiamano le corna di un montone. Il Chester oggi è da considerarsi forse l’icona pop più antica del mondo. 

Per farci raccontare di questa antica e difficile lavorazione, siamo andati a trovare alcuni artigiani quarratini, iniziando da via Ricasoli a Barba, dai fratelli Alessandro e Carlo Cianci, che hanno lavorato alcuni anni alla Mobilmoderna, poi hanno fatto una società e dagli anni Ottanta al 2012 hanno lavorato in proprio producendo per conto terzi. Con loro c’era anche Enzo Taschini, altro tappezziere della vecchia guardia, e Floriano Cianci, cugino di Alessandro e Carlo, che all’epoca faceva il trasportatore.

Secondo voi, che avete dedicato gran parte della vostra vita alla realizzazione di questo prodotto, Quarrata si distingue nella lavorazione del Capitonné? O per meglio dire: vi sarà capitato qualche volta di vedere prodotti realizzati altrove? Come li considerate? Fatti bene, Fatti male o così così?

«A Quarrata ci sono sempre stati molti artigiani (da definire artisti) per la realizzazione del Capitonné, che è una vera e proporia eccellenza per il comparto produttivo. A cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, alla Mobilmoderna, la maggior parte del lavoro veniva fatto per i Paesi arabi: Egitto, Arabia Saudita e Iraq. Divani enormi da sei e otto posti, scorniciati laccati o dorati, comunque sfarzosi, con schienali e braccioli in Capitonné e tessuto prezioso. Ne producevamo in gran quantità, che venivano poi caricati sui container a centinaia. In quei paesi erano innamorati di questo lussuoso prodotto e questo conferma la grazia e l’eleganza che viene fuori da questa complessa lavorazione. Non vogliamo fare comparazioni su prodotti di altri territori concorrenti, ma i nostri sono realizzati con grande maestria e precisione millimetrica».

Siamo passati anche da Via De Gasperi, a fare due chiacchiere con Roberto Trinci, che insieme al fratello Massimo (ora in pensione) sono molto esperti di Capitonné, da moltissimi anni producono dei meravigliosi divani e poltrone.

Pare che la lavorazione di questo prodotto non sia per niente comoda e che la postura forzata provochi mal di schiena o quanto altro. Ultimamente la tecnologia aiuta a lavorare meglio? Secondo voi nell’Ottocento, ai tempi di lord Philip Stanhope, con i mezzi di allora riuscivano a fare un buon prodotto al pari della gomma piuma di oggi?

«Sì, la lavorazione è alquanto scomoda perché, perlomeno fino a qualche anno fa, doveva essere fatta con il divano per terra poiché il banco era troppo alto, e questa continua postura innaturale causava mal di schiena. Oggi grazie ai banchi amovibili si hanno posizioni meno scomode per il sollievo, non solo della schiena, ma anche delle articolazioni e delle mani. A quei tempi invece non esisteva alcuna sorta di comodità nella lavorazione, e l’imbottitura era fatta di vegetale, crine di cavallo e molle. Sicuramente le mani da qualche parte sanguinavano. L’aspetto finale del prodotto, però, era pari se non superiore agli standard di oggi. In qualche vecchio divano in Capitonné che abbiamo disfatto per restaurare, i rombi erano imbottiti e cuciti assieme; con questa tecnica riuscivano ad usare tutti gli scarti della pelle senza avere sciupo».

Per continuare il nostro racconto andiamo in Via Nicolodi dalla Lomax, un’eccellenza quarratina in fatto di Capitonné, poiché l’azienda è legata a questo prodotto da oltre cinquant’anni. Fondata da Mario Balli nel 1968 e portata avanti oggi dai figli Massimiliano e Lorenzo. 

Cosa significa per voi “Capitonné” non solo sul piano professionale ma dal lato puramente emozionale?

«Per me e mio fratello Lorenzo, il Capitonné è stato ed è un elemento di vita. Nostro padre, tappezziere di vecchia scuola, si è specializzato in questa lavorazione e quasi esclusivamente nella realizzazione dei Chester, trasmettendo anche a noi figli la passione e molti segreti del mestiere. Si può dire che grazie a questo modello di salotto, la nostra famiglia da oltre cinquant’anni ha vissuto togliendosi tante soddisfazioni, come la nostra azienda è cresciuta grazie alle pieghe, ai bottoni e alle losanghe del Capitonné. È una lavorazione importante, credo una delle più antiche; questo tipo di imbottitura si adatta ad ogni stile, sia moderno che classico. Il divano Chester per noi è patrimonio di famiglia e fa parte del nostro DNA. Inoltre, dal lato emozionale e senza falsa modestia, mi preme dire che ci sentiamo custodi di tutti i segreti che ci ha trasmesso nostro padre e che sicuramente, in fatto di prodotto finito, fanno la differenza».

Una grande azienda di divani ha adottato un claim che ultimamente imperversa su molti media e dice: “divani fatti a mano in Italia”. Da quarratino posso affermare che questo è un nonsenso, poiché non esiste altro modo, per imbottire i divani artigianalmente, se non a mano. Credo che il Gran Giurì della pubblicità abbia anche preteso che questa grande industria togliesse da sotto il marchio, il pay-off “artigiani della qualità”, questo perché non si può definire artigiano colui che lavora ad un nastro scorrevole dove esce un divano ogni pochi minuti; la cura e l’amore per il prodotto non può essere quello che vogliono far intendere in pubblicità. Un vero artigiano tappezziere quei pochi minuti gli impiega soltanto per accarezzare il suo divano finito, probabilmente con lo stesso amore con cui accarezza suo figlio. Se invece si parla solo di prezzo, il discorso cambia. Ma… permettetemi: in questa grande catena di negozi, divani in Capitonné, non mi pare di averne mai visti.

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