di Marco Bagnoli
marzo 2010
Roberto è un quarratino come tanti. Fa il tappezziere e fa anche avanti e indietro tra gli Olmi ed Empoli, perché sua moglie è di Empoli. Ha quaranatre anni e un sorriso amico, quando ci accoglie in casa sua e ci stringe la mano. Ecco, le sue mani un qualcosa di particolare ce l’hanno. Non tanto per via dei numerosi anelli che Roberto porta e che gli danno un’aria un po’ piratesca: come tanti quarratini anche Roberto ama il ciclismo e si sa, tutti i ciclisti amano Marco il Pirata. È un qualcosa che Roberto si sente nel sangue e non sa come spiegare. Come una specie di vertigine, una voce che parla e non si sbaglia quasi mai. È un talento naturale, un dono, dice lui, che cert’uni possiedono senza neanche saperlo. È la magia vera del rabdomante, che indovina l’acqua piegando un salcio.
La rabdomanzia è un’arte, una scienza, un’invenzione che si perde nella notte dei tempi di un sacco di popoli sparsi in tutto il mondo. Roberto ce la mette giù un po’ più semplice: lui l’ha ereditata dal padre, Osvaldo, anch’egli a sua volta rabdomante. Eredità di sangue, certo, perché è una cosa che ti porti dentro, ma anche un vero e proprio tesoro, un piccolo patrimonio di astuzie che un genitore decide di lasciare al più meritorio dei tre figli. Ma il merito in questo caso c’entra ben poco: Roberto, il fratello e la sorella sono tutti figli di Pimpino, eppure solo lui ha evidenziato questa capacità. Pimpino è il soprannome che la gente aveva dato al padre Osvaldo. <<Certo>>, dice Roberto, <<possederla questa dote non basta>>: Osvaldo andava a trovar l’acqua dove lo chiamavano, ma non sempre il figlio trovava il tempo di seguirlo nella sua caccia silenziosa. Ben più importante della pratica è la motivazione che ti spinge a farlo. Roberto dice che poco prima di andarsene il padre si era raccomandato, la peggio cosa che tu possa fare è di non continuare questa cosa che facevo io. È per questo che Roberto si è fatto forza e ha vinto l’iniziale senso di tristezza che lo inondava al trovarsi col salcio tra le mani senza Pimpino accanto a lui.
E poi c’è dell’altro. Non è una cosa che si fa per i soldi. Dare soddisfazione alla gente, farla contenta, questo conta; che siano dei piantaioli, che sia qualcuno che vuole scavare un pozzo per innaffiare il giardino. In piano, sulla collina, una vena d’acqua, magari una bella vena d’acqua di grande portata, è oro, oro. È l’acqua in sé ad essere preziosa; è un pozzo che d’estate non si prosciuga a valere un tesoro. E allora anche lui è soddisfatto. Così come il padre anche Roberto trova l’acqua – e Roberto l’acqua la trova! – e riesce a capire a quale profondità si debba scavare. Il lavoro più impegnativo forse è quello di convincere la gente. Non tanto il pozzaiolo, che magari lo conosce; non tutti possono permettersi di scavare venti metri e poi ancora altri venti solo perché te lo dice il figliolo di Pimpino.
Alle volte sono capitati dei momenti difficili, quando si fa sera e sarebbe l’ora di smontare gli attrezzi; ma poi tanto l’acqua si trova. <<Non mi sbaglio quasi mai>>, dice Roberto, <<al massimo qualche blocco roccioso nel terreno può alterare la percezione del metraggio; di sicuro, continua, se l’acqua non la sento è inutile scavare, d’acqua non ce n’è>>. Cercare l’acqua col ramo di salcio è una bella cosa. Qualcuno adopera un pendolino, ma sono dettagli, ognuno fa come si sente. Bisogna concentrarsi e aspettare di sentire. Magari ti tocca di fare pure una bella fatica di gambe, perché una volta ti chiama qualcuno che ha un giardino dietro casa, altre volte invece una villa col parco. <<La vera fatica è di testa>>, dice Roberto. Se sul posto ci torni un paio di volte al giorno, poi arrivi la sera che sei stanco morto. E tra l’altro uno deve pure trovarlo il tempo, perché c’è la famiglia e c’è il lavoro. Roberto usa un ramo di salice, quando lo chiamano ne taglia un po’ e li tiene in fresco in un secchio d’acqua. Poi all’occorrenza gli è riuscito di trovar l’acqua anche con rami secchi, mezzi rotti, lui non si fa di questi problemi. Una volta era arrivato sul posto e si era accorto di non averne portati, così si era dovuto mettere in cerca di una selciaia nelle vicinanze.
L’estate è il momento ideale per la ricerca, perché una discreta vena d’acqua d’estate tende sicuramente ad aumentare nel corso dell’inverno e per i vivaisti, gli agricoltori, la portata è fondamentale. Quando piove invece le percezioni si possono alterare, allora bisogna aspettare qualche giorno che il terreno assorba l’acqua di superficie. Roberto ne parla volentieri di questa cosa qua che nemmeno lui sa bene come spiegare, ma che lo riporta a quei momenti vissuti con suo padre. E allora è di sicuro una cosa buona, diciamo noi. E se per il momento preferisce ancora tenersi il segreto va bene così, sapremo aspettare. <<Ma provateci pure>>, dice lui, <<vale sempre la pena>>.