di Massimo Cappelli
giugno 2018
Quella che state per leggere è una storia di sofferenza e determinazione, di consapevolezza e di coraggio. È una storia dove, nonostante tutto, prevale la vita. O meglio: l’amore per la vita e la forza di viverla fino in fondo per prendere il tempo, fermarlo, e lasciare traccia di sé nel tempo, al fine di divulgare, di raccontare e di condividere. In questa storia la dignità umana vince su ogni altra cosa.
«La più grande causa del decesso è la nascita» molti anni fa ho sentito pronunciare questa frase e con il tempo l’ho fatta mia. Sì, è vero, ogni mente pensante a questo mondo sa che deve morire, ma solo pochissimi (e aggiungo “sfortunatamente”) sanno quando. Giancarlo D’Emilio, fotografo professionista pistoiese, purtroppo è appartenuto a questa minoranza, ma invece di concentrarsi sulla sua sofferenza ha fatto prevalere l’aspetto professionale, la sua missione, ovvero raccontare per immagini e trasmettere emozioni. Grazie alla passione per la fotografia Giancarlo ha organizzato una grande cosa: ha chiesto al suo ex allievo Solimano Pezzella, quarratino, di fotografare gli ultimi giorni della sua vita. Così è stato. Solimano in due mesi e mezzo, prima e dopo il decesso di Giancarlo, con la sua reflex ha scattato alcune migliaia di foto, e da questo progetto è nato anche un libro: “Il tempo del sollievo”. Abbiamo invitato l’autore in redazione, lo abbiamo intervistato e ci siamo fatti raccontare questa sensazionale e commovente storia.
Foto: Roberto Innocenti
Credo che il progetto di Giancarlo sia unico. Sei d’accordo con me?
Non so se sia mai stato fatto qualcosa del genere. C’è da dire che Giancarlo era una persona molto forte, era duro, diretto, francamente non era molto facile stargli accanto. Lui mi chiese di fotografarlo per documentare la qualità di vita e la dignità di un malato terminale. La malattia persisteva già da tempo, il più passato negli ospedali, dove probabilmente viene data più importanza alla patologia che alla persona, per cui aveva bisogno di riscattare questa dignità, almeno nell’ultimo periodo. L’idea di Giancarlo si è da subito rivelata grande, pensa che insieme al medico che lo seguiva nelle cure palliative, ci siamo ritrovati a fare due seminari alla facoltà di medicina dell’Università di Firenze.
Come ti ha chiesto di fare questa cosa?
Mi ha “fregato”. Mi disse: «vieni…» (Solimano fa una pausa e si commuove) Lui parlava come se dal sabato al lunedì dovesse non esserci più, io sapevo che sarebbe stato un reportage crudo, duro. Sapevo, come poi ho riscontrato di fatto, che stare accanto ad un malato terminale, e aggiungo della sua personalità, non sarebbe stato facile. Ma non avevo messo in conto il tempo, i sentimenti, il lato emozionale! Peraltro eravamo sotto le Feste, il periodo in cui siamo tutti più fragili. Oltre a Natale e Santo Stefano ci sono stati tre compleanni, il 27 dicembre era il compleanno di Barbara, la sua compagna, il 28 era quello di Giancarlo e il 29 il mio. Poi l’ultimo dell’anno e l’Epifania; onestamente mi sono ritrovato in una situazione più difficile di quanto avessi immaginato, ma ugualmente mi sono buttato anima e corpo nel progetto rinunciando anche alla mia vita privata. Tutti i giorni sono stato lì e questa esperienza è stata per me molto importante, mi ha formato e mi ha cambiato molto.
Era credente?
No! Non era credente ma portava al collo molti ciondoli, immagini sacre e amuleti di tutte le religioni del mondo, tutti regali di amici che gli facevano visita. Nonostante non fosse credente si domandava cosa ci sarebbe stato di là. Diceva che non vedeva l’ora di appurarsene ma si dispiaceva del fatto che non sarebbe potuto tornare a raccontarcelo. Era molto sereno anche se consapevole di ciò che stava per succedergli, e la sua serenità la trasmetteva a chiunque venisse a trovarlo. Nei due mesi e mezzo che gli sono stato vicino ha sempre avuto la casa piena di gente, e chi usciva da quella casa, sembrerà strano, ma non se ne andava triste.
Perché ha scelto proprio te?
Glielo chiesi (sorride) e lui mi rispose in maniera diretta, come suo stile, perché ero stato l’unico ad accettare. Gli confidai che questo sarebbe stato il mio primo lavoro importante, per cui avrebbe dovuto darmi delle dritte anche sul dopo. Scrisse e firmò di pugno la liberatoria dove mi cedeva i diritti e si prestava a farsi fotografare in ogni posizione o circostanza, prima, durante e dopo il suo decesso. Questo documento in effetti lo impugnai da subito con l’agenzia di pompe funebri. Aveva pianificato tutto (e non solo con me, ma con tutti) scrivendo un blocco di appunti che giorno dopo giorno spuntava via via che aveva fatto le cose. Mi ha presentato fotografi e persone importanti arrivati da tutta Italia che mi avrebbero aiutato a portare a termine il lavoro e anche dopo. Sicuro, diceva, che nella fotografia io avessi un futuro da docente, per questo agli allievi che venivano a trovarlo o che gli telefonavano parlava di me come il loro maestro. In un primo momento, anche seguendo le sue richieste, per realizzare le foto adottai un approccio più medico, fotografando il corpo, i medicinali, le cicatrici delle operazioni e quant’altro. Poi col tempo invece ho capito (e lì è stato l’inizio del mio percorso) che dovevo documentare, per cui fotografare la vita quotidiana. Un giorno con Stefano, il suo medico, lo abbiamo portato anche al mare. Il libro poi è stata un’idea mia perché avevo il bisogno di buttar fuori e di liberarmi di tutte le emozioni che avevo accumulato.
Lui ha visto il reportage?
No perché non voleva vedere le foto. Mi ha solo chiesto di creare un’immagine che esprimesse “il tempo e il contro tempo” (nel libro è espressa bene questa sua filosofia) ed io realizzai la foto, che a Giancarlo piacque moltissimo, che poi ho messo in copertina al libro. A volte gli facevo vedere qualcosa sul display della reflex, ma Giancarlo è appartenuto all’era analogica, per lui “foto” voleva dire “stampa”: il rito dello sviluppo, il tipo di carta da adattare ad ogni soggetto e via discorrendo. Poi non era interessato a rivedere il lavoro per il fatto che non era per lui, ma era la sua ultima missione di fotografo: documentare, riportare, raccontare la propria fine. Io ero il suo alter ego, il suo braccio e la sua mente.
Giancarlo D’Emilio morì il 17 febbraio 2017 mentre Solimano non era presente, fu avvertito immediatamente per documentare anche il “dopo” e portare a termine il lavoro. Il libro “Il tempo del sollievo” di Solimano Pezzella, edizioni Atelier, è stato presentato il 9 giugno alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia e lo si può trovare nelle migliori librerie.