di Marco Bagnoli
settembre 2024
Stefano Andrea Barni festeggia proprio nel mese di settembre i suoi primi cinquantun’anni, e sono stati quasi tutti spesi a disegnare e viaggiare coi colori: Stefano, infatti, è un pittore.
Ha iniziato che era appena un bambino, e quindi immancabilmente figlio d’arte, poiché sua mamma è Anna Orlandi, che negli anni Settanta e Ottanta animava la scena locale che si radunava nella Soffitta di Millo Giannini, in compagnia dello Scuffi, di Gaggioli e del Magazzini. Inutile dire che il sentiero imboccato da Stefano non può che condurlo all’Istituto d’Arte di Pistoia, dove studia Architettura e arredamento, e quindi all’Accademia di Belle arti di Firenze, alla facoltà di Pittura dei Professori Roberto Giovannelli e Giorgio Ulivi. E nel corso degli anni la rappresentazione formale della realtà inizia ad accompagnarsi all’informale, all’avanguardia, e alle sperimentazioni coi più diversi materiali, fino al catrame. Il periodo dell’Accademia impegnerà Stefano anche nel campo delle installazioni, come quella di Piazza del Carmine, che per l’occasione si ritrovò ad accogliere dei grovigli di rame inserito in sacchetti pieni di liquido.
Siamo negli anni Novanta, anni di ricerca e ipotesi in libertà. E certo, un pittore, un artista, è un eterno esploratore, in perenne ridefinizione del proprio stile, allora come oggi. È un eterno curioso che non smette di ficcare il naso nella realtà, e soprattutto in quello che ancora reale non è. Quindi il “pezzo di carta” ufficiale non fa che confermare una identità che l’artista si porta dentro da sempre, dai disegni delle elementari, com’è il caso di Stefano.
Finita l’Accademia, Stefano si mette a lavorare nella ditta di maglieria del babbo Giovanni, e quindi alla Hitachi (ex-Breda) di Pistoia. È a questo punto che Stefano fa conoscenza con altri artisti, e assieme fanno rete, per conoscersi e soprattutto per lavorare nell’ambito dell’incisione, e decidono di chiamarsi Gruppo Blu: punta secca, acquaforte e xilografia. Alcune delle piazze più importanti del circondario divengono la sede ideale per le loro esposizioni. A un certo punto il gruppo iniziale di quattro-cinque persone si allarga a pittori e scultori, e per alcune edizioni del Settembre quarratino, il gruppo ha esposto a villa La Costaglia. Inutile constatare come le più differenti forme di arte dialoghino amabilmente come un quartetto di archi. Siamo arrivati all’incirca al 2008. E Stefano mette prontamente mano al timone e inizia a dipingere sul Domopak, con smalti, acrilici e graffi. Una pittura indubbiamente segnica e informale, tesa a leggere coi propri occhi la realtà ai margini delle nostre zone industriali.
E alla fine, eccoci ritornare al “vecchio” figurativo di una volta: i campi alluvionati della Caserana, i notturni dalle costellazioni incastonate nel buio sopra i casolari lontani del Montalbano, i fossi e i campi pieni di erba verde, i forti contrasti di luce tra cielo e terra. Un Braille luminoso nella notte, un’immagine speculare della vita stessa sulla Terra. E infatti una sua mostra di successo si intitolava appunto “Riflessi”. È il soggetto stesso che interpella l’artista, e sembra chiamarlo ad esprimersi, senza badare troppo alla ispirazione specifica del momento. E anche la rappresentazione delle persone è quanto mai influenzata dalle facce che ti vengono incontro ogni giorno. E oggi, alla fine, possiamo guardare il contributo di Stefano al Settembre quarratino 2024, nella collettiva “Il Magnificoingegno”. Stefano, che da sempre crea con agilità e scioltezza, non nasconde di meditare un quadro inedito, una sorpresa germinata sotto il sole di agosto.