il giorno della gita

il giorno della gita

di Carlo Rossetti

giugno 2012

Finalmente il giorno della gita è arrivato. Dopo avere frettolosamente preparato lo zainetto con tutto ciò che può esserci utile, senza dimenticare l’inseparabile, amato, indispensabile e abusato cellulare, scendiamo in strada ai primi bagliori dell’alba. Accompagnati dal cinguettìo mattutino degli uccelli, ancora non completamente svegli, raggiungiamo il luogo dove ad attenderci c’è il pullman che ci porterà in gita. Nell’aria fresca della mattina si intrecciano i primi buongiorno e i convenevoli di coloro che, meno addormentati, sono già pronti a fare un po’ di “salotto”, tanto per cominciare a raccontarsi. Ma è bene salire in fretta se non vogliamo vederci relegati in fondo, zona più che altro ambita dai giovani che possono fare lì i loro comodi, o se vogliamo, casino.

Una volta saliti tutti, il responsabile della gita, quello a cui dobbiamo fare riferimento e che sarà il nostro angelo custode per tutta la giornata,, inizia a fare l’appello per vedere che tutti siano presenti. <<Agosti>>, <<presente>>, <<Azzurri>>, <<presente>>, <<Brandoletti>>, <<presente>>, <<Cellai>>, <<presente>>, <<Cavezzoni… Cavezzoni?!>>, <<Non c’è! Come al solito è in ritardo>>,  precisa una voce dal fondo.E via dicendo, fino a esaurire l’elenco. Finalmente arriva correndo anche Cavezzoni che si scusa per ritardo dovuto alla sveglia che non ha suonato a causa delle pile esaurite. Intanto il pullman, dopo un giro su se stesso, si avvia pigramente. Si spengono le luci di bordo per consentire a chi ne ha bisogno un’aggiunta di sonno. Trovata la posizione migliore sulla poltroncina, si cerca di mettere in atto tutte quelle operazioni, che possano rendere il più possibile, confortevole il viaggio. Con abile manovra, solleviamo con i piedi l’appoggio posto sotto il sedile anteriore per appoggiarvi gli stessi, perché le gambe possano riposare correttamente. Poi anche gli avambracci potranno appoggiare sui braccioli che non si vedono perché a scomparsa, abbassati per favorire l’accesso ai posti.

Ma mentre è facile estrarre il bracciolo posto al centro dei sedili, non è affatto semplice posizionare quello che si trova all’esterno, sul corridoio. Si tratta di farlo ruotare dal basso verso l’alto, fino a quando non abbia raggiunto la posizione orizzontale; è ciò che facciamo, ma appena posato il gomito, il bracciolo riscende. Si ricomincia da capo l’operazione più lentamente, sperando di trovare un punto in cui lo scatto ne confermi il punto di arrivo e pertanto la stabilità. Ma inutilmente. Intanto, girandosi ci si accorge che alcuni passeggeri hanno il bracciolo al posto giusto e vi si appoggiano mollemente. Viene quindi da chiedersi: perché non dobbiamo riuscirci noi? E ricominciamo da capo con le manovre, senza ottenere nemmeno ora il risultato desiderato. Ci domandiamo ancora, mentalmente, facendo ricorso alla nostra esperienza di viaggiatori urbani, com’è che alcuni autobus di linea abbiano il bracciolo con il meccanismo a scatto che lo blocca nel punto desiderato, e un pullman di più alto “lignaggio”, come quello su cui viaggiamo, corredato di doppie luci interne, televisore, altoparlante, tasti vari per la regolazione dell’aria e dispensatore di caffè, non abbia un accessorio più pratico. Si pensa inoltre, in un eccesso di fantasia, che sarebbe opportuno distribuire al momento di salire, un depliant illustrativo, in cui siano riportate le indicazioni per l’installazione del bracciolo, naturalmente tradotto in diverse lingue, compreso il giapponese. E mentre fantastichiamo anche per ingannare il tempo, un signore che ha assistito alla scena e che ha già risolto il problema, interviene dal dietro: <<Scusi, abbia pazienza se mi intrometto, guardi, deve fare così…>>, e allungandosi dal proprio posto ripete per noi l’azione una, due, tre volte, senza che ottenga il risultato di cui era sicuro, e che aveva dato per scontato. <<Strano, ero riuscito a farlo alla prima>>, commenta un po’ contrariato e si astiene dal continuare. Intanto un altro tizio vicino a noi, che si era appena appisolato, si sveglia, e girandosi di fianco, raccomanda: <<Piano, bisogna farlo piano; io guardi, ho fatto così>>, e allungando una mano interviene con sicurezza in nostro soccorso. Ma avendo, dopo un paio di volte, fallito la prova, per non incorrere in ulteriori  insuccessi, riappoggia la testa, chiude gli occhi e continua a dormire o fa finta di farlo, per uscire dalla situazione un po’ imbarazzante.

Dopodiché, più che altro per una questione di puntiglio, si ripete nuovamente la manovra tenendo conto di tutte le indicazioni che i gentili compagni di viaggio ci hanno fornito. Non si sa come, ma questa volta il bracciolo si blocca proprio nel punto desiderato, senza che noi ci rendiamo conto quale diversa procedura abbiamo attuato. Meglio così. Appoggiamo la testa alla spalliera, i piedi ormai sistemati sugli appositi sostegni, finalmente, chiudendo gli occhi, cerchiamo di fare un sonnellino pure noi. Pare impossibile ma tutta l’operazione, fra manovre, consultazioni, pause e riprove ci è costata quasi un’ora.

Abbiamo da poco preso sonno, agevolati dal monotono rumore del pullman, che dall’altoparlante la voce suadente del nostro c apo gita ci informa: <<Tra dieci minuti ci fermiamo all’autogrill per una sosta. Approfittatene perché è l’unico della zona>>. 

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