di David Colzi
dicembre 2008
Siamo stati a casa di Vincenzo Paolieri che per un pomeriggio ci ha parlato dei suoi 36 anni in Rai come cameraman, dei personaggi famosi che ha conosciuto e delle trasmissioni in cui ha lavorato sempre dietro la macchina da presa. La passione per il mondo dell’immagine è stata trasmessa anche al figlio Luca, oggi uno dei titolari dello Studio FotoVideoProject di Santonuovo.
Come è nata la passione per la telecamera?
Il mio interesse per il mondo delle riprese televisive è iniziato studiando fototecnica presso l’Aeronautica Militare di Caserta. All’epoca ero sottufficiale della Guardia di Finanza e in seguito divenni addetto alla sezione cinematografica del mio corpo militare di riferimento. Nel 1960, sempre come graduato militare, decisi di approfondire ulteriormente questo mio interesse frequentando la scuola di cinematografica Ciak di Roma, dove ho studiato perfezionamento per operatori, regia e fotografia. Erano gli anni in qui la Rai si stava attrezzando per dare vita alla seconda rete nazionale, Rai Due, per questo cercava personale con esperienza da inserire in azienda: io mi presentai alle selezioni passando un esame di ammissione. Così inizia a lavorare per questa azienda, dove sono rimasto fino al 1996.
Mi incuriosisce molto questo percorso che da Santonuovo ti ha portato a Roma.
La mia carriera alla Rai è partita dagli studi di Roma, ma dopo i primi anni sono andato a Bologna ed infine a Firenze. Chiesi questo ultimo trasferimento nel 1979, quando si stava istituendo la terza rete nazionale. Nell’ultima fase della mia carriera mi sono occupato principalmente di riprese esterne per il telegiornale.
Che programmi hai seguito come cameraman?
Iniziai nel 1961 a Rai Uno facendo la domenica mattina un programma dedicato agli agricoltori con Diana de Feo e l’ex Miss Italia Brunella Tocci; il pomeriggio seguivo un programma d’Arte intitolato: “Capolavori nei secoli”. Nel 62’ passai nello studio dieci al Teatro delle Vittorie, dove collaborai ad un programma del sabato sera intitolato “Grand Hotel”, con Rossella Como e Carlo Giuffrè. Lì, per la prima volta, fece la sua apparizione televisiva, un giovane cantante di nome Fred Bongusto. L’esperienza successiva fu in un programma che ha fatto epoca, dal titolo “Non è mai troppo tardi”, condotto dal maestro Alberto Manzi, mio carissimo amico. Mi è capitato anche di lavorare al telegiornale, quando ancora c’erano gli annunciatori che semplicemente leggevano le notizie senza l’ausilio di filmati, opinionisti e quant’altro; come avrai capito quanto ti ho detto riguarda il periodo romano della mia esperienza Rai.
Quali personaggi ricordi con piacere?
Caterina Valente, ospite al Teatro delle Vittorie e Rita Pavone allo studio uno. Il destino mi ha anche permesso di lavorare nel 1965/66 con un giovane presentatore di nome Pippo Baudo. Come uomo mi è rimasto impresso, su tutti, Papa Paolo VI, conosciuto sempre nel 66’, quando sono stato in Vaticano per registrare alcune trasmissioni. Altro grande uomo di chiesa è stato Giovanni Paolo II, che ho seguito negli anni 80’, sempre in ambito professionale. Ricordo con piacere anche un viaggio di un mese in Tunisia nel 1967 per riprendere “I Giochi del Mediterraneo”, evento sportivo di allora.
A proposito di sport, so che ti sei dedicato molto alle riprese sportive.
È vero, ho avuto la possibilità di riprendere qualunque tipo di evento sportivo passato in televisione, facendo anche amicizia con i suoi interpreti. Mi sono occupato di partite di calcio, tornei di basket, qualche Giro d’Italia, incontri di boxe ecc…
Mi pare di capire che durante questi trentasei anni di attività hai conosciuto molte celebrità.
Tutto sta nelle disponibilità che uno offre agli altri. Nel mio lavoro capitava spesso che un cantante o un attore mi chiedesse di inquadrarlo da una precisa angolazione o con una luce particolare; cercavo sempre di andare incontro alle richieste, quindi alla fine si fraternizzava. Invece negli eventi sportivi stringevo amicizie con gli atleti perché ci si incontrava di anno in anno: per esempio il giro d’Italia l’ho seguito dal 67’ al 69’: in quell’arco di tempo ho conosciuto Felice Gimondi.
Hai mai “perso la testa”, per qualche bella presentatrice?
(sorride)… Non esageriamo! Ti posso dire che ho stretto una bella amicizia con Isabella Rossellini, conosciuta nel 1977, quando entrambi lavoravamo nella trasmissione di Renzo Arbore “L’Altra domenica”. Lei faceva l’inviata esterna ed io ero il suo cameraman di riferimento. Sono sempre stato un fan della madre di Isabella, Ingrid Bergman; spesso nella figlia rivedevo i gesti e la grazia di quella grande attrice.
Ti piace la Rai di oggi?
Prima c’era più amore e dedizione per i dettagli mentre oggi noto una certa superficialità, anche nelle inquadrature. Mi ricordo una volta quando giravamo “I Miserabili”, ci fu un piccolo problema con un primo piano, roba di poco conto. Ci abbiamo lavorato un giorno intero affinché quel dettaglio risultasse perfetto. Oggi chi lo farebbe mai?
Ci regali un pensiero su Vivaldo Matteoni?
Volentieri! Ho conosciuto Vivaldo a Quarrata all’epoca della Soffitta di Millo Giannini. Di quel periodo ho tanti bei ricordi, perché la galleria d’Arte di Millo è stata un importante punto d’incontro dei personaggi quarratini (sorride); lì ho conosciuto e frequentato anche Alfredo Fabbri, lo stesso Millo e Carlo Rossetti. In verità la prima volta io e Vivaldo ci incontrammo a Firenze negli studi Rai, senza però approfondire molto la nostra conoscenza: è stato dopo, grazie alla Soffitta, se abbiamo iniziato a frequentarci.
Questa pubblicazione si occupa di Quarrata: cosa rappresenta per te questa città?
Sono molto felice di passare la mia vita di pensionato a Quarrata, insieme ai miei cari e ai miei amici. Certamente negli anni questa città è molto cambiata e non sempre in meglio; a parte questo si vive bene a Quarrata.
Foto sopra: 1968. Partendo da sinistra vediamo: Vincenzo Paolieri, Gabriella Farinon (annunciatrice rai), Pippo Baudo e due colleghi cameraman di Vincenzo.