di Carlo Rossetti
ottobre 2012
Credo di non poter aggiungere nulla di diverso e di importante a quanto finora detto e scritto su Vittorio Amadori da autorevoli personalità. Ciononostante, non posso esimermi dal ricordare una persona che ho conosciuto bene per avere lavorato al suo fianco.
Per 25 anni circa sindaco del Comune di Quarrata, che già di per sé è un dato eloquente per capire quanto fosse apprezzato come amministratore, ha ispirato la propria vita agli ideali di giustizia, di libertà, di salvaguardia dei diritti umani, che non sono mai venuti meno nel corso degli anni, in quanto espressione della sua inamovibile posizione intellettuale e morale. Iscritto giovanissimo all’Azione Cattolica, di cui diventa presto un esponente, esprime il proprio dissenso nei confronti del fascismo, il cui totalitarismo, la prevaricazione, non potevano certo essere da lui condivisi e rifiutandone la tessera ne subisce le conseguenze. Dopo gli studi a Bergamo si trasferisce a Genova dove trova un posto di istitutore nel collegio dei Padri Somaschi di Nervi e nello stesso tempo si laurea all’Università di Genova. Rientra a Vignole prima della fine della guerra e la lotta, condotta fino a quel momento silenziosamente ma sempre sostenuta da una forte tensione ideale, trova concreta attuazione nelle forze della Resistenza a cui si unisce. Viene nominato Presidente del C.L.N. del Comune di Quarrata, di cui successivamente diventerà il Sindaco. Sono gli anni in cui impegna le sue risorse umane e intellettuali nel campo della politica, intesa come mezzo per l’affermazione della democrazia e in quella di insegnante ed educatore, cercando di trasmettere ai ragazzi quei valori di cui è stato sempre paladino e portatore. Valori che aveva mutuato dal mondo contadino delle sue origini, autentiche e radicate e che mai aveva rinnegato.
Nel suo libro Resistenza non armata – La gioventù cattolica pistoiese e il fascismo, c’è una descrizione dell’aia densa di ricordi e ricca di notazioni che, solo chi ha vissuto in quell’ambiente, può conoscerne gli aspetti più segreti e riposti. E Vittorio Amadori lo fa con partecipazione attraverso una prosa tanto limpida e suggestiva da evocare il profumo della terra. Per venire incontro alle drammatiche condizioni in cui si trovavano parecchi ragazzi, vittime della barbarie della guerra e che non sapevano a chi affidare il proprio destino, con l’aiuto di altre due persone, che ne condividono gli intenti, fonda la Casa del fanciullo “Don Bosco”a Pistoia. E’ un’opera così meritoria che basterebbe da sola a evidenziare lo spirito altruistico e il senso di umana solidarietà di Vittorio Amadori, il quale, da cattolico osservante, dà con questo la misura del proprio essere credente. Amministratore serio, onesto, ha dedicato buona parte della vita con costante coerenza politica a Quarrata, interpretando il suo ruolo con un attento scrupolo delle leggi consapevole di essere al servizio di una comunità. Credo che la sua figura, la sua statura morale non debbano essere dimenticate, in un momento in cui i valori e i princìpi che dovrebbero stare alla base della convivenza civile e sociale, sembrano trascurati o comunque non più di fondamentale importanza. Nella vita privata, al di fuori della sua veste di sindaco, era di grande compagnia e mai si sarebbe supposto in lui una vena umoristica che apportava alla conversazione, una piacevole nota.
Non vorrei tirare in ballo la mia persona, semplicemente per non evidenziarla e per non incorrere nell’autocitazione, ma a conforto di quanto ho scritto devo riferire questo fatto. Presidente del Consorzio di cui io ero dipendente, avevo contatti giornalieri con lui e perciò una stretta collaborazione. Mai mi ha fatto pesare nessun tipo di autorità che poteva derivare dalla sua carica. Forse pecco di presunzione dicendo che mi stimava quanto io stimavo lui. In un certo periodo della mia vita ebbi un grave problema di salute che mise a repentaglio la mia integrità fisica e che mi procurò uno stato di vero abbattimento. Vittorio Amadori, perfettamente a conoscenza del fatto, mi chiamò un giorno in ufficio senza che io sollecitassi l’incontro e mi disse che non avrei dovuto preoccuparmi assolutamente per il lavoro. Dovevo pensare alla salute e basta e che per qualsiasi cosa potevo contare su di lui. Non erano parole dette così per dire come una circostanza del genere può suggerire; so che le disse come le può dire un padre perché me lo dimostrò in seguito con i fatti. Era il 1970 e tanto tempo è passato da allora, ma io non l’ho scordato. E di questo gli sono ancora profondamente grato.
Foto sopra. Aldo Moro in visita a Quarrata (a destra, il sindaco Vittorio Amadori). Anni ’60. Foto: Archivio fotografico Michelozzi. Tutti i diritti riservati.