“il Fuscia”

“il Fuscia”

di Massimo Cappelli

marzo 2015

Prima di scrivere del Fuscia, bisogna ricordarsi quello che spesso dice il prete all’Altare: “siamo tutti peccatori”. E questa è la verità! Ma non tutti i peccatori sono uguali. Infatti c’è chi, pentendosi delle sue… ripetute, cattive azioni, imposta un comportamento esemplare, chi fa il moralista, chi invece fa molta beneficenza, chi il volontariato e chi, al contrario, è gaudente come il nostro Giuliano, che ha fatto del suo edonismo una ragione di vita. A modo suo è stato un grande personaggio, direi quasi un poeta. Infatti la vita del Fuscia per certi aspetti, è analoga a quella di Gabriele D’Annunzio! E se lasciamo la letteratura per andare al cinema, ci potrebbe stare l’accostamento con il conte Mascetti, di “Amici Miei”. Ma il Fuscia è stato un personaggio unico, e con l’aiuto delle figlie e di qualche amico proviamo a raccontarvelo.

Le figlie Elisabetta, Cristiana e Giulia lo ricordano così.

Quello che più spesso ci viene in mente di lui, sono i suoi insegnamenti di vita dati in maniera divertente e in contesti particolari, perché lui per noi è stato un padre speciale, fuori dagli schemi, anche all’avanguardia se vogliamo. Aveva un gran cuore, ci diceva “ricordati sempre: stai e parla con chi ha qualcosa da insegnarti, esci con chi ti diverti e con chi ha qualcosa da darti, fai la scema ma non esserlo”; a modo suo ci ha insegnato a vivere la vita con spensieratezza e sempre con il sorriso. Davanti alle avversità, diceva, con un sorriso le soluzioni arrivano prima. Poi ce lo ha anche dimostrato nei fatti, perché dopo il tragico incidente dove ha perso una gamba, è riuscito a tirarsi su e ricominciare a fare tutto: a guidare, andare in barca e anche a fare le regate. Passato il primo momento di disperazione, non ha vissuto mai la sua condizione come un handicap. Riusciva in tutto, dalle corse in macchina, prima sua passione, alla vela, nello sci; si metteva sempre alla prova senza farsi mai insegnare niente da nessuno e cosa importante, imparava a fare tutto. Uno dei suoi motti era “lo fanno loro lo posso fare anche io”. Quindi noi abbiamo imparato che bisogna avere fiducia in noi e nelle nostre possibilità. Certo, non possiamo raccontare della sua vita da “Amici Miei”, le sue zingarate fatte con gli amici, ma va bene così c’è chi lo farà per noi.

L’attore pistoiese Enio Drovandi, ha ricordato così Fuscia, in un messaggio a Giulia.

Tuo padre è stato un mito per tanti a Pistoia, anche quando ebbe l’incidente, è stato sempre sorridente; lo ricordo bene, con quel suo modo di parlare, solare e amante della bella vita. E quante donne lo adoravano. Io ero più piccolo e lui per me faceva parte di quei tre o quattro personaggi di spicco della città. Rammento bene che aveva simpatia per me e per la mia estrosità da artista. Per ciò che mi riguarda hai avuto un grande uomo vicino.

L’amico di regate e di crociere Alfio Gori, lo ricorda così.

Negli anni sessanta, in centro a Pistoia, il Bar Globo era un locale che faceva tendenza ed era ritrovo della più impavida gioventù di quei tempi. Le imprese dei globini echeggiavano per tutta la piana regalando alla compagnia fama e ammirazione. Nella “scuola” dei “globini” tutto era finalizzato ad accrescere la propria celebrità: belle donne, bei vestiti, auto di lusso e orologi. Il Fuscia, di questa scuola deteneva la cattedra. Si guadagnò il suo soprannome sulla Collina, poco più che ragazzo, durante le corse in auto. Il pubblico pistoiese quando lo vedeva sfrecciare con la sua auto scoperta, esclamava, “óh, bada ‘ome fuscia ‘uesto”. Ho passato molto tempo accanto a lui, anche quando gli venne la passione per la vela e per le regate; prima e dopo l’incidente con le sue imbarcazioni, la prima, un bisso di cinque metri, poi con il “Fuscia”, un Comet 375 di dodici metri. Quante avventure goliardiche abbiamo fatto, proprio come le zingarate di Amici Miei: racconto solo un aneddoto. Alla fine di ogni regata è di consuetudine la consegna dei vari premi offerti dagli sponsor: casse di birra, casse di vino, piatti e altro materiale. Di solito i proprietari della barca non vanno mai di persona a ritirare il premio, ma restano a bordo a terminare le piccole cose dopo l’ormeggio. Il Fuscia, ad ogni chiamata, (ride) si presentava a ritirare il premio al posto di molti concorrenti depositandoli però nella propria stiva, condividendo poi, quasi tutto in un altro porto, con suoi amici di sempre: il Gomma, Scintilla, il Galeassi, il Nanni e altri

Il ricordo di Marcello Fabbri (evitando i racconti a luci rosse).

Fra me e il Fuscia c’erano dieci anni di differenza; lui è stato per me un punto di riferimento come il faro per il marinaio (tanto per restare in tema di regate). Abbiamo frequentato insieme tanti luoghi prestigiosi, in montagna o al mare, raggiunti con belle auto o con belle barche. Con il sistema di Giuliano, i soldi non erano del tutto necessari: era fondamentale solo trovare i primi per comprare la macchina di lusso, poi per il resto ci si affidava alla “Provvidenza”. Per il pieno alla partenza non c’erano problemi, visto che i suoi avevano una pompa di benzina, il problema era quando il pieno finiva: con la stagna e con la gomma nei parcheggi di notte, ho bevuto certe boccate di benzina da non crederci. I bei vestiti, i maglioni in cashmere e gli orologi, erano regalati dalle “fidanzate” di turno. Per vitto e alloggio, una volta conosciuto l’ambiente, bastava imbucarsi a qualche party, in villa o in barca, rimanendo anche a dormire e anche nei giorni seguenti. Quando tutto questo non era possibile, avevamo elaborato un paio di strategie: andar via uno per volta dai ristoranti, correndo il rischio però che l’ultimo rimanesse “prigioniero” (a me una volta è successo) e lasciare gli alberghi nel pieno della notte, soprattutto, diceva lui, per evitare le inutili file alla reception. Valeva il motto luglio e agosto moglie mia non ti conosco (ma anche gennaio e febbraio, sulla neve); quando però ci si trovava al perso, avendo speso anche le mille lire, emblema di libertà, che Giuliano teneva nel taschino davanti dei jeans, rimaneva solo il piagnisteo telefonico che faceva arrivare, dopo una mattinata di attesa alle Poste, il vaglia telegrafico da casa. 

Questo era il Fuscia (o Ciuchino, suo soprannome quarratino) al secolo Avantiero Giulio Bresci. Nel 1985, il 19 marzo proprio per la festa del papà, fu investito da un camion, sul Viale dei Tigli a Viareggio e gli fu amputata la gamba destra. A causa di trasfusioni di sangue infetto, contrasse le epatite “c” che a distanza di anni gli provocarono la cirrosi epatica. Ha lasciato la sua “dolce vita” nel 2007 a 64 anni, ma le sue imprese e il suo ricordo vivono ancora in tutti coloro che lo hanno conosciuto.

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