Dal medico, in sala d’aspetto

Dal medico, in sala d’aspetto

di Carlo Rossetti

settembre 2011

E’ capitato a ognuno di noi di sedersi nella sala d’aspetto di un ambulatorio in attesa di essere ricevuti dal medico. La stanza ospita in genere parecchi pazienti, ciascuno con un atteggiamento più o meno riservato se non addirittura silenzioso. Dipende indubbiamente dal carattere individuale ma anche dal tipo di patologia da cui è afflitto, il fatto che qualcuno abbia voglia di parlare, mentre altri, preoccupati e in ansia per quella che sarà la risposta del medico, se ne stanno zitti da una parte, tutt’al più tentando di distrarsi leggendo un giornale. Si dà anche il fatto, specie nei paesi dove si conoscono un po’ tutti, che fra due persone possa avere inizio una conversazione, tanto per ingannare l’attesa.

Dopo un accenno all’attuale situazione politica italiana, alla crisi che ormai attanaglia tutte le famiglie, può darsi che l’avvio da parte di uno dei due, possa essere affidato a un facile, ricorrente e scontato luogo comune: <<O te che ci fai qui?>>, che non potrebbe che avere una risposta: <<Niente, sono venuto qui per passare un’ora!>> Come se nella presenza in quel luogo dell’interlocutore, non vi fosse, implicita, inequivocabile, la risposta. Esauriti i convenevoli l’argomento si sposta manco a dirlo sulle malattie. In genere, quello che ha preso la parola, racconta che è lì perché da parecchio tempo una spalla non gli dà pace. Di giorno e di notte un dolore, a volte lancinante, gli impedisce di dormire. Ma appena tenta di dare ulteriori informazioni, per esempio sulle terapie adottate e su ciò che gli ha detto il dottore, l’altro che a stento è stato zitto fino a quel momento, gli impedisce di andare oltre. <<O io? Tu sapessi io! Ho questo ginocchio che non mi tiene più, senza contare l’anca che a quanto mi dice il dottore dovrebbe essere operata, ma chi ne ha voglia a quest’età di andare sotto i ferri? E poi ho passato un inverno da bestia, con un’influenza che mi ha lasciato tosse e catarro>>.

Ha inizio così una vera e propria gara per stabilire chi dei due ha più malanni. Ognuno non vuole essere da meno dell’altro. Anche se in fin dei conti essere malato non è una bella cosa da ostentare, nessuno vuole sentirsi inferiore perché tiene a dimostrare che quanti guai ha lui non li ha nessuno. <<Sì perché>> replica l’altro <<io non ti ho detto che due mesi fa sono stato all’ospedale e credi me l’ero vista brutta. Ero tutto gonfiato come un pallone. I medici non sapevano che cosa avessi: me ne hanno fatte “di tutti i colori, rivoltato come un calzino”, prima di accorgersi che mi aveva fatto male un cibo>>. <<Se è per codesto allora io>> dice l’altro <<ti potrei raccontare di quando>>… A questo punto il confronto assume la fisionomia di un vero e proprio duello. E la ricerca da parte di ogni “contendente” di un acciacco che possa far spostare l’ago della bilancia dalla propria parte, per dimostrare che è più sfortunato dell’altro, è uguale a quella di colui che di fronte al fisco, elenca le scarse possibilità economiche, dicendo che non ha nulla, solo gli occhi per piangere.

E durante questo confronto, dopo avere passato in rassegna tutti i possibili guai, se uno di loro si rende conto di essere al di sotto dell’altro, tira in ballo la moglie di cui accenna alla pressione alta, al fegato in cattive condizioni e al diabete che l’affligge, patologia, che il più delle volte viene declinata al femminile diventando “la diabete”. Ed ecco che l’altro, occorgendosi di perdere terreno, ricorre al proprio asso nella manica chiamando in causa la suocera, di cui racconta che ogni tanto <<non dice il vero con la testa>>, che è piena di “doli”, che sovente se la fa addosso e che ha un prolasso così evidente che può essere, dalla vita in giù, scambiata per il marito. Così i bollettini medici dei nostri logorroici pazienti, si intrecciano nel silenzio della sala d’attesa.

C’è fortunatamente un’interruzione perché nel frattempo è arrivato un altro paziente. Dopo avere pronunciato il consueto e consolidato <<Chi è l’ultimo>> che interrompe momentaneamente il match, si siede. La domanda del nuovo arrivato serve ad avere un riferimento per l’ordine di entrata dal medico, che fa parte ormai del lessico ambulatoriale, come fosse una norma dettata dal Ministero della Sanità. Il nuovo arrivo ha per il momento indotto a una pausa, come sul ring fra un round e l’altro, ma di lì a poco il dialogo riprende. Intanto esce dall’ambulatorio il paziente che era in visita, e uno dei due “duellanti”, arrivato il suo turno, si alza per entrare a sua volta. Così il confronto ha fine d’un tratto senza vincitori né vinti, e nella sala d’attesa si fa nuovamente silenzio. I presenti, alcuni assorti nella lettura, altri ripensando ancora al proprio male, tirano un sospiro di sollievo. Ma è questione di tempo; prima o poi entrerà un altro paziente in vena di sfogarsi che, dopo un saluto generale e il rituale <<Chi è l’ultimo?>>, non appena individuata la persona adatta, delizierà gli astanti con il racconto delle sue malattie, in cui il resoconto particolareggiato e la dovizia di dettagli, faranno sì che anche le sue emorroidi non saranno più un mistero per nessuno.

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